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Macché epidemia sovranista Salveranno la democrazia

Lo storico e diplomatico accomuna leader diversi sotto la stessa etichetta. Ma la questione è più complessa

Macché epidemia sovranista Salveranno la democrazia

Quando si comincia a trattare da malati, di mente o addirittura fisici, gli avversari o ad analizzare con metafore mediche i processi sociali vuol dire che le cose non vanno molto bene.

Ma non tanto per gli avversari o i fenomeni, che continuano a crescere come se nulla fosse, ma per i «medici» che sbagliano diagnosi e, ovviamente, cura, perché non hanno la minima idea di cosa stia avvenendo. Così se questo volume di Sergio Romano, che fin dal titolo evoca peste, cordoni sanitari e similia (L'epidemia sovranista, Longanesi, 18 euro) ha l'intenzione di guarire l'Europa dalla malattia sovranista, possiamo tranquillamente prevedere che non servirà neppure da leggero placebo. Prima di tutto per la mancata messa a fuoco concettuale: se si intende studiare, sia pure per criticarlo, il fenomeno sovranista, sarebbe necessario definire con rigore di cosa si tratti.

Invece Romano si sforza di spiegare cosa, secondo lui, non è il sovranismo; ad esempio, non avrebbe nulla a che vedere con il « vecchio » nazionalismo, fenomeno a cui l'autore riconosce nobiltà. Egli scrive che è una « contro-rivoluzione », ma non si specifica di quale si tratti. Quella del 1789? I sovranisti come gli ultra codini della reazione o sanfedisti? Si prosegue nella lettura e sembra capire che la rivoluzione di cui si parla sarebbe quella della « modernità ».

Ma poiché poi vengono classificati come sovranisti, in tutto o in parte, pure Trump e Boris Johnson, pensare che il primo soprattutto sia anti moderno, qualsiasi cosa questa parola voglia dire, suona quantomeno dubbio. Sovranista è certamente Orban che, scrive Romano, è a capo di un «regime », si sottintende autoritario e anti democratico. Ma non si è mai visto un regime che fa votare regolarmente e che perde al voto l'amministrazione della sua capitale, come successo di recente.

Non è invece, curiosamente, definito sovranista Putin, dotato di «sobrietà e di naturalezza »: c'è da dedurre quindi che i sovranisti come Salvini, Le Pen e così via siano un po' alticci e però anche artificiosi. Di certo fanno un «cattivo uso della cristianità »: ma solo perché non hanno in gran simpatia Bergoglio, che del resto li attacca quasi quotidianamente. Citare il caso Viganò, cioè il Nunzio apostolico di Washington rimosso dal Papa, come un caso concreto di tentativo dei «nazionalisti di liberarsi di un papa troppo latino » appare tuttavia un po' poco per provare un tentativo nientemeno che di cacciare il Papa.

Da un autore di lunga esperienza e di libri non di rado pregevoli ci saremmo attesi di più di questo striminzito lavoretto, che sembra pure scritto in fretta e furia, quasi un instant book. Ma instant perché? Quale scadenza si ha di fronte che possa essere affrontata da un libro? E soprattutto perché il sovranismo, ammesso che si sappia cosa sia dopo aver letto il libro di Romano, fa tanta paura?

Contrariamente a quanto scrive l'autore, i sovranisti non sono antidemocratici, anzi nel voler restituire la parola ai cittadini, lo sono assai più di chi sostiene un'élite eurocratica, che invece guarda con terrore a elezioni, referendum e vorrebbe tanto introdurre patentini per votare, sì da evitare che i cittadini commettano « errori ». E in questo pregiudizio cade alla fine lo stesso Romano, quando scrive che la Ue ci salverà dai sovranisti. Ma come possa farla uno sfiancato « pachiderma » , parole di Romano, non è chiaro, e sembra semmai una petizione di fede.

Ma almeno, sulla Ue, Romano pare pensarla come i malati: non sarà per caso la realtà ad essere sovranista?

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