Cultura e Spettacoli

Le magnifiche ossessioni di Charlotte Salomon

«Vita? o teatro?» è il capolavoro, fra romanzo e pittura, della giovane artista di talento, morta ad Auschwitz

Le magnifiche ossessioni di Charlotte Salomon

Un lavoro gigantesco, epico, esistenziale, ipertrofico, ridondante. A lungo misconosciuto, segnato dalla tragedia. E anche va detto, kitsch, esagerato, ambiziosissimo, naif qui e là.

In tempi di libri e cataloghi usa e getta, l'editore romano Castelvecchi si butta, controcorrente, nella grande impresa dando alle stampe 820 pagine a colori al prezzo di 115 euro, eppure scommettiamo che questa edizione non piacerà solo ai collezionisti, bibliofili, esperti d'arte. C'è di più, c'è una storia umana e c'è, soprattutto, la Storia del 900. Valore testamentario, tanto per non dimenticare.

Il volume si intitola come una duplice domanda, Vita? o teatro?, e le risposte sono incerte poiché in ogni grande romanzo la finzione si intreccia con la realtà.

L'autrice talentuosissima si chiamava Charlotte Salomon ed era nata a Berlino nel 1917. Promettente artista, fu l'ultima studentessa ebrea a frequentare l'Accademia. Nel 1938 lasciò la Germania per la Costa Azzurra. Nel settembre '43, insieme al compagno Alexander Nagler, venne denunciata, arrestata e deportata ad Auschwitz. Incinta di cinque mesi fu giustiziata pochi giorni dopo. Prima di essere inghiottita dal campo di concentramento, Salomon lasciò al suo medico oltre un migliaio di fogli tra disegni a tempera e partiture scritte di una incredibile commedia umana. Dopo la caduta del nazismo il materiale tornò nelle mani del padre Albert e della sua seconda moglie, scampati alla deportazione e stabilitisi ad Amsterdam. Conservato dallo Joods Historisch Museum, Vita? o teatro? è diventato nel tempo un caso artistico-letterario di non facile decifrazione, al netto si diceva della morte prematura di Charlotte. Primo Levi lo considerava un capolavoro e Jonathan Safran Foer ne parla come del più grande libro del XX secolo. Un'opera divisa in tre parti - preludio, parte principale, epilogo - composta da 1.300 tempere non ordinate dall'artista e su cui filologi e studiosi si sono dovuti confrontare. La riscoperta, ma si può tranquillamente parlare di successo, si deve anche alle numerose esposizioni (parziali o complete) delle tavole.

Vita? o teatro? è permeato fin dall'inizio dal senso di morte e dalla cupezza, connaturata alla storia della famiglia di Charlotte, in una Germania decedente ancor prima dell'avvento di Hitler. Sono soprattutto le figure femminili a incarnare il mal di vivere, una lunga catena di suicidi senza motivi apparenti la privano fin dall'infanzia della madre, della nonna e della zia. Argomenti autobiografici che Charlotte Salomon mescola a invenzioni letterarie, come in un romanzo grottesco, dove il carattere straordinariamente innovativo lo offrono le immagini che si snodano di pari passo al racconto. Oggi si direbbe una proto-graphic novel, negli anni '40 questo linguaggio non esisteva, diventa perciò inevitabile parlare di un unicum che sfugge qualsiasi classificazione. Elemento ulteriore è la musica, altro linguaggio che si incrocia alle figure e alle parole.

Charlotte Salomon conosce piuttosto bene la pittura sua contemporanea e sceglie uno stile affine all'Espressionismo tedesco, unica tra le avanguardie a contemplare immagine e narrazione. Il suo stile, peraltro, risulta tanto graffiante e poco affinato, il disegno è più ruspante che sapiente, l'organizzazione della tavola molto incline al fumetto, avendo la necessità di racchiudere in un unico frame diversi episodi. Le suggestioni migliori Salomon ce le offre quando la sua pittura anticipa i tempi, con intuizioni a tratti incredibili: lì dentro c'è già Chagall e c'è persino la Transavanguardia, anche se dubito che Sandro Chia o Enzo Cucchi siano venuti a contatto con il monumentale lascito della giovane Charlotte.

Seguendo invece le vicende, ai drammi personali, all'infelicità da seduta freudiana, si sovrappone il fantasma del nazismo e così le immagini si fanno nere, il segno tende ad astrarsi, le parole pesano, pur senza mai dimenticarci che ci troviamo a teatro dove va in scena un tragico melodramma. Sarebbe dunque riduttivo leggerlo (e soprattutto guardarlo) solo come la testimonianza di una vita spezzata.

La bellezza acerba di questo straordinario lavoro sta nell'incompiutezza, nella quasi folle ambizione, nella maniacalità ossessiva che si trasforma in un incubo dal quale è impossibile risollevarsi.

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