L'appello cadde nel vuoto, l'anno scorso. Niente Nobel per la Letteratura a Predrag Matvejevic, lo scrittore croato morto ieri a Zagabria, all'età di 84 anni. Era ricoverato in un ospedale psichiatrico privato, e le sue condizioni peggioravano costantemente, quando in molti perorarono la sua causa. Un lungo declino, in qualche modo simile a quello dell'Europa di un tempo (e anche di oggi), protagonista principale delle sue opere, con quel miscuglio di etnie e divisioni politiche, di confronti e di scontri, di guerre e di rancori. Materiale che in Matvejevic, figlio di un russo bianco, cioè di un russo di serie B, nella Russia rossa, maturò velocemente e fervidamente, essendogli consustanziale, diremmo quasi genetico. A lungo aveva vissuto a Roma, dove insegnava Slavistica alla «Sapienza», fra il '94 e il 2007, facendo la spola con Parigi: grandi capitali occidentali, e anche grandi vetrine per un intellettuale dell'Est. Ma di un Est vicino, mediterraneo, che dunque avvertiamo come nostro, per il tramite di un lungo braccio di mare e di un universo, quello mitteleuropeo, che egli seppe scandagliare spostandosi in su e in giù per il Novecento.
Nato a Mostar il 7 ottobre del 1932, il suo primo romanzo che ottenne un successo internazionale proprio in quelle acque, presso quelle amate sponde, si sviluppava. È Breviario mediterraneo, uscito in Italia nel '91 da Garzanti. Libro di rara potenza evocativa, meritò d'essere indicato con un aggettivo alto e innovativo: «geopoetico». La sua trama è infatti data dal colloquio a molte voci fra i poeti di Paesi che sul Mediterraneo si affacciano, e dunque affratellati da quella comunanza profonda. «Libro geniale, fulminante, inatteso», come lo definì Claudio Magris, fu tradotto in venti lingue, e impose Matvejevic all'attenzione generale. La sua opera sorella è Mondo ex: Confessioni (Garzanti, 1996), dove, come scrisse Marino Freschi su questo giornale, le riflessioni dell'autore «strazianti e amare ancorché tracciate con sapida, eruditissima ironia», affrontano i punti dolenti «delle identità, ideologie, nazioni nell'una e nell'altra Europa». «Ex» in quanto passato, in quanto travolto dagli eventi, è il mondo che Matvejevic ritraeva e che amava. «Ex» si sentiva lui stesso, per quanto in buona e numerosa compagnia, stranito, imbarazzato, rattristato dalla deriva europea. Sensazione, ovviamente, acuita dal disastro balcanico degli anni Novanta, e dalle conseguenze di una mattanza nel nome (bestemmiato) delle etnie contrapposte.
Un'Europa maledetta è uno dei suoi ultimi titoli (Baldini e Castoldi, 2005), Il ponte che unisce Oriente e Occidente, era invece il suo auspicio, la sua preghiera. Per ora inascoltata, come avviene sempre alle parole degli osservatori con l'occhio da profeti.
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