Daniel Dennett è un uomo imponente. Ha la barba da filosofo greco e la risata da professore americano. Da mezzo secolo, dopo la laurea in Filosofia a Harvard (non lontano da casa, visto che è nato a Boston nel 1942) e il dottorato a Oxford con Gilbert Ryle, fino a oggi, che è condirettore del Centro per gli studi cognitivi e Austin B. Fletcher Professor alla Tufts University, Dennett si occupa della mente umana. Considerata in modo molto materialistico, come dimostrano i titoli dei suoi numerosi saggi, come Sweet dreams. Illusioni filosofiche sulla coscienza, o Rompere l'incantesimo. La religione come fenomeno naturale. L'ultimo è Dai batteri a Bach. Come evolve la mente (Cortina, pagg. 552, euro 32), che presenta oggi al festival Leggendo Metropolitano di Cagliari (Teatro Civico, ore 19.30).
Professor Dennett, perché studia la mente da anni?
«Da giovane lessi Cartesio, e pensai: interessante, ma non può avere ragione. Dev'essere sbagliato. Così decisi di capire perché. Era il 1959».
Perché Cartesio sbaglia?
«Perché è un dualista. Ci ha inculcato l'idea che la mente sia una cosa speciale, fatta non di materia bensì di una sostanza spirituale».
Invece...
«Oggi è quasi universalmente accettato dagli scienziati che il dualismo è falso. Non esiste alcuna sostanza extra, la mente è il cervello. A noi non sembra così: ma noi non abbiamo più intuizione del nostro cervello che del nostro fegato».
E le peculiarità della mente?
«La domanda è: come possiamo spiegare, scientificamente, la nostra capacità di conoscere quello che facciamo, pensiamo, speriamo e sentiamo?».
Come?
«Servono alcune strane inversioni del ragionamento. La prima è simile a quella di Darwin. Per molte persone l'evoluzione non poteva essere corretta, perché come può essersi realizzato un disegno così brillante, senza una mente intelligente? Può».
L'altra inversione?
«È quella di Turing: creare un computer che replica le competenze umane, senza comprendere. L'idea che esistano competenze senza comprensione è molto potente. Un albero cresce e mette radici, senza capire ciò che fa».
Ma la competenza è tutto?
«La competenza senza comprensione può fare cose meravigliose. Noi esseri umani siamo i campioni della comprensione: ma a che cosa ci serve la comprensione? E come evolve?».
Perché è un mistero?
«Il nostro cervello è composto da 86 miliardi di neuroni che non capiscono niente e però, insieme, questi neuroni costituiscono una mente che capisce. Questo dobbiamo spiegare, senza miracoli...».
Come lo spiega?
«La mente evolve attraverso la selezione naturale e l'evoluzione culturale. Quest'ultimo processo va avanti da un milione di anni ed è la fonte della nostra comprensione: il nostro cervello è stato ridisegnato dal fatto di essere immerso nella cultura umana».
Come?
«Attraverso manufatti, arte, tecnica, modi di pensare. La nostra testa si riempie di strumenti del pensiero, che io considero come delle App, di cui facciamo il download sul nostro necktop. Un computer senza software non serve; così il nostro cervello, senza cultura e linguaggio, non è molto potente».
Perché il titolo, Dai batteri a Bach? A parte l'allitterazione, che le piaceva molto...
«Perché il genio, come Bach, non è un miracolo, un dono di Dio: è un dono della cultura umana. Bach capiva la musica come un ingegnere capisce una macchina: perché aveva buoni geni musicali, e perché era anche uno studente eccellente e un tecnico straordinario. E poi avrei potuto intitolarlo anche Dagli eucarioti a Einstein, ma mi piaceva un esempio dall'arte e non dalla scienza».
Dice che esistono progetti e progettisti intelligenti, senza un Progettista Intelligente.
«Succede nel mondo umano. I castelli costruiti dalle termiti sono meravigliosi, sembrano la Sagrada Família di Gaudí: se guardiamo questi due artefatti sono quasi identici, anche nella struttura. In realtà sono profondamente diversi: le termiti non sanno quello che fanno, non c'è un architetto. Eppure il risultato è spettacolare».
Gaudí?
«Gaudí ha progettato e diretto. Questo contrasto grandioso è il centro del mio libro: perché sembra un miracolo ma, in realtà, niente di miracoloso è successo in mezzo, fra le termiti e Gaudí».
Secondo lei il mezzo dell'evoluzione culturale sono i memi. Che cosa sono?
«Sono modi di fare le cose. Come gli istinti, trasmessi però dai geni; invece i memi ci contagiano attraverso l'esperienza».
Un esempio?
«Il linguaggio è il migliore. Le parole sono memorizzabili, riconoscibili, facilmente ricopiabili. Chi le ha fatte così? Nessuno. Il linguaggio è il mezzo attraverso cui avviene la trasmissione di alta qualità culturale: perciò gli animali non accumulano cultura».
In questo cammino, quanto contano i fallimenti?
«Il fallimento è necessario. Il 99 per cento degli organismi vissuti è morto senza discendenti».
Il 99 per cento ha fallito?
«Esatto. Eppure, dal primo batterio sopravvissuto siamo arrivati a noi, il prodotto ultimo dei successi e dei fallimenti iniziati tre miliardi di anni fa. Senza di essi non saremmo qui».
Se la mente è materiale, e la coscienza è una illusione, anche la nostra vita lo è?
«In un certo senso sì, ma è un senso buono. L'evoluzione ha creato un mondo meraviglioso, fatto di atomi e molecole. Se in ogni momento dovessimo spiegare tutta questa complessità, non potremmo vivere. È una illusione che rende la vita possibile, un po' come i soldi».
Il sé è come i soldi?
«Una finzione utile. I soldi sono fatti di niente, di informazioni: sono la rappresentazione di un valore economico.
Il sé è una rappresentazione meravigliosa di idee, sentimenti e speranze delle persone: noi ci identifichiamo l'un l'altro, vediamo nella mente degli amici e dei nemici ma, in questo modo, stiamo semplificando tutta quella complessità in concetti più semplici. Del resto, non devi sapere come funziona lo smartphone, per usarlo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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