Diavolo d'un Ligabue, una ne fa e cento ne suona. «Ho passato venti giorni di isolamento in casa, mi sono straniato e ho scritto tutte le canzoni», spiega nello studio di Correggio di fianco a due Hammond da vero intenditore. I suoi collaboratori lo credevano addirittura disperso con tanto di sms allarmati. Made in Italy, che esce oggi, è un concept album ma non, come dice lui, «uno dei quei dischi lunghissimi e dilatati: qui ci sono canzoni che, una per una, potrebbero stare in qualsiasi altro mio disco, ma qui in Made in Italy raccontano una storia». È la storia di Riko che «ha fatto in tempo ad avere un futuro che non fosse soltanto per me», ma c'è riuscito troppo in fretta. «È stato un attimo e invece è mezza vita», canta Ligabue all'inizio di La vita facile, primo brano di un disco che il 23 in prima serata verrà raccontato dal docufilm Made in Italy su FoxLive, in contemporanea su Fox e FoxLife ((canali 112 e 114 di Sky). Insomma, insieme con le sue certezze, Riko sprofonda in piena crisi di mezz'età strizzato tra le mura di un'Italia altrettanto in crisi. In teoria, il copione di un film. In pratica un disco pienissimo di musica essenziale, un omaggio stile Ligabue al funky, al soul di Al Green, al rock di Style Council e addirittura Ac/Dc. Risultato? Questi undici brani funzionano, non indugiano nell'autocompiacimento e sono pure suonati benissimo (chitarre super). Alla faccia di chi crede che l'ispirazione arrivi solo ogni tanto.
Tanto per iniziare, caro Ligabue, perché il protagonista di Made in Italy si chiama Riko?
"Forse non tutti sanno che il mio secondo nome è Riccardo".
Quindi Made in Italy è autobiografico?
"Riko ha più o meno la stessa mia età e c'è ovviamente molto di autobiografico. Forse è il mio Sliding doors: sarei come Riko se quella volta non avessi fatto il musicista. O forse sono così in una dimensione parallela, chissà".
Qual è lo slogan di questo disco?
"Non volevo assomigliare troppo a me stesso. E ho avuto una sensazione di libertà maggiore rispetto al passato".
La svolta del disco è la manganellata che manda Riko in ospedale dalla Dottoressa (titolo di una canzone) e gli ridà più consapevolezza.
"Tutta la storia è una specie di psicoterapia".
A proposito, non è abituale sentire Ligabue cantare «nei panni» di un altro.
"Già con il brano Non ho che te mi ero calato in un personaggio che raccontavo in prima persona e Made in Italy parte da lì. Insomma, avevo bisogno di scrivere un album così".
Lo sa vero che oggi la struttura dell'album è meno «sacra» di una volta.
"Lo so, sarò un tradizionalista ma sono amante della canzone, della sua forma e delle sue rime. E uso un linguaggio volutamente popolare. Poi, certo, mica faccio finta che ormai gli album si ascoltino con la stessa cura e attenzione di una volta".
Il titolo Made in Italy sembra quasi contestualizzare la storia come se fosse possibile soltanto in Italia.
"In realtà questa è una dichiarazione d'amore frustrato al nostro paese e, anche attraverso le lettere al suo amico Carnevale che sono contenute nel booklet, è Riko a leggerla. Però Made in Italy è anche un omaggio alle nostre eccellenze".
Spesso trascurate.
"Durante i concerti che ho fatto in giro per il mondo, tra l'euforia del viaggio e la nostalgia per il mio paese, ho avuto modo di apprezzare i nostri talenti ma anche di vedere tanti italiani sotto il mio palco a New York o a Tokyo. E mi sono chiesto: vivono qui perché l'hanno scelto oppure in Italia non avevano scelta?".
Mercoledì Rtl 102.5 manderà in onda il «best of» dei suoi due concerti al Parco di Monza.
E il 3 febbraio a Roma inizierà un altro tour (200mila biglietti già venduti senza secondary ticketing...)."E di certo dal vivo suonerò tutto il disco. Non so ancora se per intero oppure interrotto da qualche altro brano dei mio repertorio. Ci penserò, tanto non mi fermo mai...".
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