È vero che da ragazzino era vicino di casa di Bud Spencer?
«Carlo non era solo il mio vicino di casa, eravamo anche compagni di scuola. Abitavamo nel quartiere Santa Lucia. Era grazie alla sua stazza che ogni mattina riuscivo ad attraversare il Pallonetto, una specie di via Pal pericolosa, rimanendo incolume».
Poi scelse di iscriversi a Ingegneria.
«Fu tutta colpa di una donna. Avrei voluto iscrivermi a Filosofia ma, mentre andavo all'università, incontrai una ragazza. Subito attaccai bottone e scoprii che anche lei stava andando lì, ma per una lezione di Matematica».
Così la seguì a Matematica?
«Sì. E mi innamorai, non di lei però, bensì del professor Caccioppoli e della passione con cui tenne la sua lezione. Così decisi di cambiare i miei piani».
Poi ha lavorato 20 anni all'Ibm, come rappresentante commerciale.
«Inizialmente fui nominato marketing manager; dopo poco vicedirettore. Poi quando ero lì lì per diventare direttore lasciai il lavoro per la scrittura».
Fu una scelta difficile?
«Ora che ci penso, non fu così difficile come sembra... La verità era che il lavoro mi annoiava un po'».
Come ha scoperto la passione per la scrittura?
«Scrivere mi era sempre piaciuto, ma il lavoro fagocitava buona parte del mio tempo, fino a quando decisi di scrivere Così parlò Bellavista».
Come nacque l'idea?
«All'inizio volevo raccogliere dei fattarielli in un libro. Alcuni li avevo vissuti, altri mi era capitato di leggerli sui giornali locali. Man mano che li mettevo insieme il libro prendeva forma».
Successo enorme. Come avvenne?
«Una sera mi ritrovai a cena a casa di Renzo Arbore e, tra gli ospiti, c'era un signore paffutello e con i baffi. Il signore in questione era Maurizio Costanzo. Durante la serata gli raccontai che avevo da poco pubblicato un libro e lui mi invitò a parlarne durante la sua trasmissione dell'epoca, Bontà loro».
Così fece.
«Durante la trasmissione Costanzo mostrò la copertina del libro. Fino a quel momento aveva venduto circa cinquemila copie. Un mese dopo erano centomila, poi duecentomila... A quel punto lasciai il lavoro di ingegnere per dedicarmi alla carriera di scrittore».
È felice?
«Più che felice mi sento fortunato. A differenza di tante altre persone ho avuto la possibilità di vivere due vite: la prima da ingegnere e la seconda da scrittore. Se non è fortuna questa».
Ma lei «conosce se stesso»?
«Sicuramente ho dei dubbi a riguardo».
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