Cronache

Un miracolo in scena. La credevamo eterna come la sua "Giselle"

La casa a Milano, Positano, la gravidanza invisibile. E Bertinotti al matrimonio del figlio

Un miracolo in scena. La credevamo eterna come la sua "Giselle"

Una trasmissione si interrompe. Una notizia secca: è morta Carla Fracci. Un flash del suo volto. Impossibile, ieri era con noi, l'altro ieri alla Scala mostrava come deve costruire il personaggio di Giselle. Fatica del resto inutile perché al mondo di Giselle ce n'era stata e ce n'era una sola: Carla Fracci.

La sua arte era talmente eterna che pensavamo eterna anche lei.

L'annuncio non pare credibile. Qualche telefonata. Il mondo dell'arte piange, chi parla non riesce a terminare frasi e ricordi.

Per noi una presenza di sempre. Prima étoile alla Scala, poi mito conteso dal mondo. Niente le basta. Nel cuore della divina batte forte la parola Scala, dove in età ma sempre ragazzina, potrebbe tornare come direttore del Ballo. Incomprensibilmente il teatro che lega la gloria cotè danza soprattutto al suo nome non la vuole. Forse perché il coltissimo regista/drammaturgo Beppe Menegatti è anche il suo mentore e non si può pensare lei senza lui. La conosciamo da sempre. Abitava un attico tutto vetrate del Quadrilatero dove riuniva gli amici a Capodanno. Un posto magico zeppo di oggetti, spesso poggiati a terra. E di fiori, «il mio cimiterino». Poi la coppia s'è trasferita in piazza Montebello. Luogo diviso spesso con Roma, dove abitano il figlio Francesco e i nipoti.

Già, il matrimonio di Francesco a San Casciano con ricevimento (incluso Bertinotti) all'aperto nella casa del contado. Lei in pescura e la sposa vestita «come la Fracci». Il cuore sempre alla Scala, mito della sua infanzia, dove avevamo assistito anche alla singolare scena di Beppe che la prende per un braccio e la trascina via, in tutù, fuori dal teatro. Carla del resto, bellissima, eterna ragazzina, viso d'angelo, era decisa, volitiva, intelligente. Amabile ma a tratti anche scontrosa. Impossibile mettere assieme in poche righe una vita di consuetudine. I pizzi e i veli bianchi confezionati da una sartina di Positano, la «città della danza» che la vede onnipresente accanto a Nureyev. L'altro divino che sta all'isola Delli Galli e appare come un Wanderer su una barca mentre il vento gioca con in suoi mantelli svolazzanti. La gravidanza che non si vede. Le telefonate per sapere come mi comporto io con la maestra di mio figlio mentre quella del suo pretende di parlare sempre e solo «con la mamma». I viaggi. Quello a New York, il primo del ballo scaligero, al Met con sala prove affrescata da Chagall. A Parigi per una occasione Montblanc, a Venezia sua ospite nel motoscafo con tricolore alla volta del bacino delle Gaggiandre dopo il concerto di Muti per la ricostruzione della Fenice 2004. A San Pantaleo in Sardegna su un palco improvvisato esattamente come quello dello Chapiteaux di Piazza Cuoco dove per prima Carla aveva portato la danza nelle periferie. I racconti infiniti ad iniziare dal suo incontro con Beppe in sala prove della Scala: lei con scaldamuscoli rossi e lui folgorato a prima vista. La famiglia, con la vicina di casa nell'hinterland milanese che esorta a iscriverla alla scuola scaligera, il padre tranviere che ferma il suo tram proprio davanti al teatro per controllare a vista la bambina spinazitt, l'incontro con i partner che la fanno crescere, la gratitudine per questo e il rancore per l'altro, lo zio che funge da autista, la nipote Barbara suo ufficio stampa, il factotum Luisa prima tata di Francesco poi amica, Ischia...

Il repertorio era tutto suo, da La Péri a quella Giselle che ha girato il mondo inondando di lacrime gli occhi di tutti, noi compresi. Perché Carla era una tragédienne estrema, possedeva quel carisma che o ce l'hai o non ce l'hai, quella capacità di bucare la scena come solo succedeva con Nureyev. Inimitabile e mai imitata oggi scompare un miracolo dell'arte.

Noi non ci crediamo.

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