Molto amore e poca ironia, a Sanremo vincono le voci

In gara zero rap e niente rock. Ma Raige e Giusy hanno energia, Ermal Meta commuove e Mannoia convince

Molto amore e poca ironia, a Sanremo vincono le voci

Dopotutto il primo ascolto è il più pericoloso perché spesso regala impressioni volatili che poi all'Ariston cambiano. Però le 22 canzoni in gara al Festival, che ieri sono state fatte ascoltare per la prima volta ai giornalisti, confermano la salute del pop italiano più tradizionale, ossia quello più popolare. E per Carlo Conti, che è al suo ultimo Sanremo consecutivo «perché i record di continuità devono rimanere di Pippo Baudo», è stato divertente fingersi deejay nel presentare ciascun brano con qualche parola di riassunto: «Forse questo è il quadro musicalmente più completo di tutti i miei Festival».

Non c'è, e non è un caso, molto spazio per il rap vecchio stile (solo qualche barra di Clementino e di Raige) né per l'ironia (a parte un pretenzioso Gabbani stile Battiato anni '80) e tantomeno per le band indie rock, visto che giustamente Conti ha evitato la foglia di fico dell'invito all'artista stile Afterhours giusto per darsi un tono. Ma c'è, nella sessantasettesima edizione del Festival, una pattuglia di autori di primissimo livello (Giorgia scrive per Sergio Sylvestre, Kekko Silvestre per Bianca Atzei, Marracash per Clementino, Emma per Elodie, Luca Chiaravalli, Zibba, Federica Abbate e Roberto Casalino sono sparsi qui e là, il grande Anastasi e il poetico Cheope per Michele Bravi) e una qualità vocale che nel complesso è inattaccabile (la pulita intensità interpretativa di Ron è da manuale e neppure sarebbe da sottolinearlo).

Infine ci sono gli argomenti delle canzoni: ogni Festival di Sanremo è marchiato dalle parole, non soltanto dalla musica e dalle voci. Anche stavolta, ovvio, l'amore non ha rivali. È delicato e pungente, ossia di rosa e di spine, per Al Bano che, su di una struttura musicale debitrice dell'italianità pura di Puccini e Mascagni, si esalta con le parole di Maurizio Fabrizio: un brano fatto apposta per scaldare la platea e non è esclusa una standing ovation all'Ariston (come nel 1996 con È la mia vita). Quello di Elodie è tormentato e per nulla assolutorio, con una metrica che l'orchestra senza dubbio esalterà. Per Raige e Giulia Luzi è molto erotico in uno dei brani che le radio ameranno di più proprio come quello di Giusy Ferreri, molto meno barocco nella voce ma di feroce impatto emotivo.

E se Michele Zarrillo forse avrebbe potuto esser più coraggioso nel suo ritorno all'Ariston dopo tanti anni (versi come «Tu sei passione e tormento, tu sei aurora e tramonto» sono troppo convenzionali), Masini tocca invece un livello molto alto sia nell'interpretazione che nella scelta testuale del racconto di un amore che finisce (l'attacco «Mi sono incontrato a cinque anni cadendo», poi rielaborato alla fine, è azzeccato). Nel Diario degli errori di Michele Bravi ci sono «troppi segni sulla pelle già strappata» ma un'esilità interpretativa che di segni ne lascia molto pochi. Anche Bianca Atzei canta un amore esclusivo, mentre Nesli e Alice Paba si dividono un brano squilibrato nel quale la poesia anche vocale di lui mal si amalgama con la potenza interpretativa di lei. Duetto sbilanciato.

Invece, nella lettera a sua mamma morta 32 anni fa ma mai nominata nel testo, Gigi D'Alessio è sorprendente nell'arrangiamento e nello sviluppo dei versi, che diventano una toccante foto di questi ultimi anni. E Samuel dei Subsonica? Nel suo primo viaggio da solista regala il vero pop d'autore senza luoghi comuni ma, ovviamente, con molta riconoscenza alla sua storia musicale. Poi c'è il ramo elettrodance. Alessio Bernabei (nel 2016 l'album e il singolo più venduti di Saneremo) si ripete con Nel mezzo di un applauso, Paola Turci si presenta rinnovata a bordo di un arrangiamento quasi Coldplay ultimo modello e Lodovica Comello, assai ariosa e corale, si garantisce l'enorme consenso del suo pubblico. Infine Sergio Sylvestre regala alle parole di Giorgia un'interpretazione alla sua maniera, ossia assai soul. E, mentre Fabrizio Moro porta al Festival forse il suo brano migliore, Chiara trova in Nessun posto è casa mia la sua dimensione reale (grazie anche a Mauro Pagani) nei confini che potrebbero farla diventare una sorta di Adele italiana. Infine le storie. Ermal Meta, che parla di violenza domestica (e autobiografica) ai danni di un bambino e di sua madre tocca picchi di assoluta eccellenza, non solo emotiva, mentre Clementino canta con intensità molto vissuta la vita dei Ragazzi fuori.

Da ultimo rimane l'eccellenza: Fiorella Mannoia veste alla perfezione le parole firmate da Amara (che probabilmente sarà al Festival con Paolo Vallesi) regalando un'interpretazione che all'Ariston farà la differenza. Insomma inattaccabile.

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