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«La morte del teatro segna la vera nascita del libro»

di Virginia Woolf

Il lettore viene quindi alla luce in un imprecisabile momento alla fine del XVI secolo e la storia della sua vita, se potessimo conoscerla, meriterebbe di essere scritta, per gli effetti che ha avuto sulla letteratura. A un certo punto il suo udito deve aver perso acutezza; in un altro momento la sua vista dev'essersi offuscata. Il nostro tentativo di sopperire alla mancanza di trombe e bandiere, cittadini e apprendisti, quando leggiamo i drammi elisabettiani, equivale allo sforzo di tornare a uno stadio precedente della storia. Il tempo passa e il lettore si differenzia dallo spettatore. Il suo senso delle parole e delle loro associazioni si evolve. Una parola compitata secondo la vecchia pronuncia fa scaturire nuove suggestioni. Mentre l'abitudine di leggere si estende a dismisura, il pubblico si stratifica e si diversifica. C'è il lettore specializzato, che si concentra su certi aspetti delle parole stampate. E poi c'è la vastissima categoria dei lettori perfettamente istruiti, i cui occhi ogni anno scorrono su miglia e miglia di carte senza leggere nemmeno una sillaba. Infine c'è il lettore che, come Lady Anne Clifford, sfoglia il magnifico libro di Chaucer per dimenticare i suoi guai. Così, «una piccola parte di quel suo incantevole spirito la pervade». E la strana facoltà, il potere di rendere visibili luoghi e case, uomini e donne con i loro pensieri e le loro emozioni sulla pagina stampata, cambia continuamente.

Ora il cinema sviluppa il suo sguardo; la radio sviluppa il suo udito. La misura dell'importanza del lettore è data dal fatto che, quando la sua attenzione vira altrove, in tempi di crisi collettiva, l'autore esclama: «Non posso più scrivere!».

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