Nel mondo Negramaro il successo conta meno di una notte in masseria

La band pugliese si prepara al nuovo tour nel suo rifugio in riva al mare. "Abbiamo fatto i soldi, ma ce ne freghiamo"

Prima si gira a sinistra, poi qualche passo sotto il porticato e infine oplà: benvenuti nella culla dei Negramaro, una masserìa del Quattrocento in mezzo al nulla silenzioso e incrostato di salsedine. Poco più avanti c'è lo Jonio che portava saraceni a rotta di collo. Alle spalle la Lecce dei palazzoni barocchi. Qui c'è una parentesi del tempo. Giusto qualche passo, appena un po', e si entra nel salone dove i Negramaro provano quei brani che nella prossima estate suoneranno dal vivo addirittura a San Siro e poi forse anche all'Olimpico di Roma, tappe inusuali per le band italiane che di solito prenotano palchi ben più piccoli.
«Calma, prima di luglio manca ancora troppo tempo per poter già esultare» spiegano loro, confermando che sì, torneranno al Meazza nello stesso giro di concerti che porterà sullo stesso campo nientemeno che Depeche Mode e Bon Jovi. Un ben di dio. «Se penso che per il nostro primo tour ho persino chiesto i soldi in prestito a mia mamma…» ricorda Giuliano Sangiorgi che dei Negramaro è la voce, qualche volta solista, spesso corale, sempre riconoscibile come poche. In una sera benedetta da un libeccio timido, lui e la band hanno spiegato il perché e il percome del nuovo disco. A modo loro. Suonando. E poi parlando a torrente, senza rotta, liberi insomma. Una storia semplice esce oggi, è un greatest hits per modo di dire perché raccoglie, in doppio cd o triplo vinile, i loro brani senz'altro più incisivi (con i duetti con Lorenzo Jovanotti in Cade la pioggia e con Dolores O' Riordan in Senza fiato) e li accompagna a sei canzoni inedite e a due bonus track che da sole valgono un nuovo disco. Specialmente Ottobre rosso, intensissima e salvifica, forse più memorabile di Ti è mai successo?, singolo chitarroso e dilatato che sta conquistando radio e YouTube.
«Nello spirito rimaniamo una band underground e difatti la nostra casa discografica, la Sugar di Caterina Caselli, è tuttora indipendente», dice Sangiorgi appena dopo aver portato per mano un concertino che è uno di quei tesori rari ormai. Prima tutti insieme davanti a un caminetto acceso, Sangiorgi al pianoforte, gli altri (Emanuele Spedicato, Ermanno Carlà, Danilo Tasco, Andrea Mariano e Andrea De Rocco) con chitarre acustiche e percussioni morbide a ricamare Estate, Solo tre minuti e Cade la pioggia. Le mura spesse e confortevoli coccolano i suoni. Un mixer hollywoodiano li raccoglie e li filtra. La penombra abbraccia tutto.
Poi, senza quasi farsi accorgere, Sangiorgi rimane da solo al pianoforte mentre tutti gli altri cinque si allontano, entrano nelle proprie nicchie oblunghe, zeppe di Marshall, di pedaliere per gli effetti, di tastiere o di tom tom e charleston. La band divisa in sei stava facendo nascere una sola musica nello stesso istante. Ottobre rosso, appunto: liberatoria. Poi Sole. E Ti è mai successo?, potentissima. I tappeti a terra per assorbire i suoni e limare gli spigoli degli sguardi. Più in là Sangiorgi dietro all'asta del microfono. Una stanzetta, la sua, quasi una cappella o un confessionale, i mattoni a vista e giusto una feritoia per accettare una bava di luce e fare pendant alle spie luminose dell'equalizzazione. Qui nasce il suono della band che, dopo aver sagrinato e sgavettato per dieci anni, in questo momento fa aggio sul poprock italiano, diventando un termine di paragone.
Il suono alla Negramaro, si dice. «Mai stati choosy, noi: quando abbiamo fatto da spalla a Verdena e Afterhours eravano talmente piccoli che non avevamo dato neppure un nome alla band». Poi l'hanno scelto e, per dire, in un amen le vendite di vino Negramaro sono cresciute del settanta per cento. Potenza delle canzoni. «Sì, grazie alle copie vendute finalmente sono arrivati i soldi, tutto è cresciuto e tutto spesso diventa ingombrante. Ma non ce ne frega niente, se ci capita andiamo ancora in vacanza insieme. Le decisioni? Dentro i Negramaro vince l'intelligenza della minoranza e ogni decisione alla fine è unanime». Anche quella di non andare al Festival di Sanremo. «Si è sparsa la voce ma è una bufala. Non torneremo mai più in gara. Ci siamo andati una volta per far vedere a tutti il nostro vestito sonoro e il Festival è comunque il fulcro storico della canzone d'autore.

Ma non siamo nati in tv e difficilmente parteciperemmo a un talent show». Molto meglio, dopotutto, mettersi tra parentesi in una masseria bianca d'intonaco per far nascere la musica da portarsi poi in giro. Alla vecchia maniera, sudando e crescendo finché si può.

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