Nella Grande Depressione c'è anche lo spazio per un po' di leggerezza

Il tarlo della gelosia è l'unica ombra nell'atmosfera gaia e serena di «L'esclusione» e «Alla tua età»

Nella Grande Depressione c'è anche lo spazio per un po' di leggerezza

Nato nel Minnesota, il cuore più freddo del freddo Midwest, Francis Scott Fitzgerald resta tra le figure seminali della letteratura americana, uno dei rappresentanti più autentici di una poetica che con i suoi due più celebri romanzi, Il grande Gatsby (1925) e Tenera è la notte (1934), trovò finalmente un compimento, lasciando una traccia indelebile, un solco da cui ancor oggi è difficile discostarsi del tutto.

Scritti rispettivamente nell'agosto del 1929, alle soglie della Grande Depressione, e nel 1931, nel vortice buio della crisi, i racconti Alla tua età e L'esclusione, mai apparsi in italiano prima d'ora, vedono la luce sotto il titolo di Alla tua età (Nuova Editrice Berti, pagg 105, euro 12, traduzione di Cristina Colla e Cecilia Mutti). Sono due storie dal tono simile, caratterizzate da una leggerezza che non si coglie nei romanzi dell'autore. Questi racconti hanno in comune l'indiscussa maestria di Fitzgerald nella descrizione del tarlo della gelosia e della vana ricerca della felicità sentimentale, un'ossessione talmente presente nella sua produzione da venir quasi sdoganata dall'autore come una tara ineludibile della condizione umana. I drammi personali, con la malattia mentale dell'amata Zelda, una sorta di musa in chiaroscuro, e il tunnel dell'alcol che finì per portarlo alla rovina, sembrano solo sfiorare la serenità di questi due racconti, una serenità velata da qualche pena del cuore. Il biancore dei lunghi inverni nel Midwest - «Era la settimana prima di Natale e Minneapolis era ricoperta da circa cinquanta centimetri di neve fresca ed eccitante» - resta immacolato, persino «Quando esplose la primavera prima, e l'estate poi - non c'è tutta questa differenza, in Minnesota». Mai confondere, però, un tono narrativo sbarazzino con una presunta superficialità che di certo non appartiene a Fitzgerald. «Forse nei giorni tristi appena dopo Natale, o ai balli sotto le feste, con le ragazze tutte in ghingheri... forse allora avrebbe finalmente provato l'estasi e la sofferenza, quel colpo di fulmine che tanto aspettava».

Un'America ebbra del proprio successo e desiderosa di buone vibrazioni, ma alle prese con uno dei suoi periodi più cupi, è coprotagonista e fa da palcoscenico alle vicende di personaggi che vivono in un'apparente bolla di sapone. È il mondo dei figli di papà, alle prese con le ultime conquiste post-adolescenziali e con il dilemma se accogliere o no tra i soci del locale country club l'ultimo parvenu forestiero, più che con i problemi reali di una società da cui, evidentemente, le buone scuole e i buoni salotti li tenevano a distanza. Si confermano la gaiezza e l'eleganza narrativa del grande autore e la voglia di sorridere la fa da padrona, regalandoci un Fitzgerald in grandissimo spolvero. D'altra parte, in tanti sono rimasti abbagliati dal suo modernissimo stile narrativo, ma quasi mai gli allievi si sono avvicinati al maestro.

«Per snobbare davvero qualcuno

bisogna averlo nei paraggi», recita la voce narrante de L'esclusione, ma non serve la macchina del tempo per capire che cosa si agitava nel cuore della gioventù americana durante la Grande Depressione. Basta leggere Fitzgerald.

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