Cronache

Nella "Hot Zone" a caccia di virus letali con una superdonna

La nuova serie su National Geographic racconta la battaglia contro il micidiale Ebola

Nella "Hot Zone" a caccia di virus letali con una superdonna

È l'anno 1980 in Kenya. Un ricco uomo francese, nella sua grande casa africana inizia a star male, colpito da una febbre violentissima. Sale su un aereo nel tentativo di raggiungere delle cure adeguate, ma il suo corpo letteralmente esplode, ricoperto di vescicole sanguinolente. Quando arriva in ospedale è troppo tardi per salvarlo ma non troppo tardi per contagiare anche chi lo sta curando, come il dottor Musoke. È questo l'inizio, piuttosto choc, della serie Hot Zone che andrà in onda dal 4 settembre su National Geographic.

Quello che apre la narrazione è un episodio vero, uno dei primi a documentare la diffusione del filovirus Marburg. Una febbre emorragica capace di transitare dalle scimmie all'uomo e potenzialmente mortale nel trenta per cento dei casi. Il Marburg fu solo un primo esempio di zoonosi trasmessa dai primati agli umani. Da lì a poco sarebbe arrivata l'ancora più temibile Ebola. Ed è proprio su un episodio della lotta contro l'Ebola che si concentra la serie.

Circa nove anni dopo, in un centro di ricerca scientifica della Virginia, a pochi chilometri dalla Casa Bianca, il micidiale virus Ebola fa la sua prima apparizione sul suolo statunitense, colpendo alcuni esemplari di scimmia. Se non fosse stato scoperto in tempo avrebbe potuto provocare una strage tremenda.

La scoperta - e il contenimento - di questo virus letale, con allora un tasso di mortalità del novanta per cento, avvenne grazie a un gruppo di coraggiosi scienziati dell'Usamriid (una struttura dell'esercito americano per la ricerca sugli agenti biologici) guidati dal tenente colonnello Nancy Jaax.

Dal centro di ricerca che lavorava sulle scimmie arrivano sui tavoli di lavoro dell'Usamriid alcuni coaguli di sangue prelevati dai cadaveri delle scimmie. Si pensava ad una banale infezione dei primati. Fu l'istinto e l'esperienza di questa ricercatrice con le stellette da ufficiale (nella fiction interpretata da Julianna Margulies, vincitrice di un Golden globe e di tre Emmy e diventata famosa per The Good Wife) a evitare il dramma. Intuì che si trattava di un virus sconosciuto ed estremamente aggressivo. Nonostante lo scetticismo di alcuni colleghi decise di indagare partendo da un presupposto: sottovalutare un virus mortale è molto peggio che prendere un abbaglio e peccare di prudenza.

Con il sostegno del marito (Noah Emmerich) e l'aiuto prezioso del suo maestro e mentore, il Dottor Wade Carter (Liam Cunningham) tra i primi a scoprire l'ebola in Africa anni prima - Nancy andò a fondo nelle indagini anche prendendosi una grossa dose di rischi personali. Grazie alla sua perseveranza, i test scientifici riveleranno la drammatica realtà, costringendo l'esercito ad agire per scongiurare un'epidemia nonostante i disaccordi e i conflitti tra le diverse agenzie governative coinvolte.

La storia è raccontata con molto ritmo e le necessarie concessioni ad un prodotto televisivo di intrattenimento. Però nelle sue linee generali fa accapponare la pelle, soprattutto perché è vera. E rende l'idea di quanto un mondo dagli spostamenti velocissimi ci rende vulnerabili alle malattie. L'influenza spagnola del 1918 ne è un tragico esempio. E il ritorno dell'Ebola in Congo, dove ha ucciso almeno 1800 persone, rende la serie tragicamente attuale. C'è un vaccino sperimentale che pare aiutare a contenere la crisi.

Lo si deve anche a ricercatori battaglieri come Nancy Jaax.

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