Ma nell'Ia (intelligenza animale) il corvo imperiale è un geniaccio

Parla Bernd Heinrich, che ha studiato la specie per vent'anni

Ma nell'Ia (intelligenza animale) il corvo imperiale è un geniaccio

«Per i vichinghi, i corvi erano sacri. Il dio Odino ne aveva sempre due, su ciascuna spalla, ed erano un simbolo di ciò che i corvi facevano con i cacciatori: volavano intorno a loro, per individuare le prede e indicarle agli uomini e, poi, per nutrirsi di parte di quelle prede. Era la stessa cosa che facevano già da millenni con i lupi. Fra gli antichi cacciatori, i lupi e i cani quaggiù sulla terra, e i corvi lassù, nel cielo, c'era un legame stretto, una cooperazione. Lavoravano tutti insieme, anche se, oggi, siamo tutti separati». Bernd Heinrich ha cercato di colmare questa separazione attraverso venti anni di studi, osservazioni e addomesticamenti (in casa propria, e in voliera) di questi uccelli straordinari, che racconta in un saggio diventato un classico per gli appassionati di ornitologia e pubblicato ora in Italia da Adelphi: La mente del corvo. Ricerche e avventure con gli uccelli-lupo (pagg. 556, euro 35). Dove, per corvo, si intende il corvo imperiale, quello frequentato da Heinrich nei boschi del Maine, dove vive: naturalista, biologo, ornitologo, ultramaratoneta da record («correvo per stabilire primati: fra i 41 e i 44 anni ho realizzato tutti i record americani per i 100 chilometri, le 100 miglia, e il maggior numero di miglia in 24 ore» racconta al telefono da casa sua), nato in Germania nel 1940, oggi è professore emerito di Biologia all'Università del Vermont.

«I primi contatti con i corvi li ho avuti da piccolo: mi sembravano speciali, diversi». Poi si è ritrovato a studiarli, molti anni dopo, superati un oceano e una guerra: «Con la mia famiglia siamo scappati dalla Polonia nell'inverno del '45 e, dopo qualche mese, siamo riusciti ad arrivare nel Nord della Germania, dove abbiamo vissuto per sei anni in un rifugio nei boschi, prima di raggiungere l'America. Allora, tutti i civili scappavano dall'avanzata dell'Armata rossa. Mio padre era naturalista, specializzato in una specie di insetti chiamati Icneumonidi, e qui aveva più possibilità di lavorare». Ciò che era più strabiliante nei corvi, per Heinrich, era che «si riunissero tutti insieme intorno a una carcassa di animale, e poi chiamassero altri corvi, per mangiare; eppure, di solito, i corvi sono molto aggressivi fra loro, possono perfino uccidersi, quindi quel comportamento era un enigma».

Heinrich lo ha risolto dopo anni, e ha capito che ha molto a che fare con gli umani: «Come noi, che ci siamo evoluti per amarci e cooperare con gli altri, ma solo con i nostri familiari e quelli della nostra cerchia, così i corvi si sono evoluti per competere, in gruppo, contro gli altri gruppi. È stupefacente, così come è stato sorprendente scoprire che sono capaci di ragionare». Ragionare? «Sono in grado di immaginare nella propria mente ciò che devono fare, perché sanno quello che sta succedendo, sanno che cosa succederà dopo, e sanno quello che devono fare perché prevedono, e capiscono, il comportamento degli altri». Insomma i corvi sono intelligenti? «Sì. L'ho dimostrato con un esperimento in cui dovevano tentare di raccogliere del cibo sospeso a uno spago, qualcosa che, in natura, non si trova: quindi il loro comportamento non poteva essere stato programmato dall'evoluzione. E, siccome erano corvi che avevo cresciuto in cattività, sapevo che non l'avevano mai imparato. Mangiare il cibo attaccato a uno spago appeso a un ramo richiede una serie di passaggi, una sequenza di ragionamenti, e i corvi li hanno eseguiti tutti, senza essere mai stati addestrati: erano in grado di comprendere, nella loro testa, le conseguenze delle loro azioni».

I corvi sono così intelligenti, dice Heinrich, «per la selezione evolutiva»; e infatti, da secoli, si accompagnano nella caccia a creature intelligenti. Poi hanno una coscienza («sanno che cosa stanno facendo e quale sarà il risultato»), sono «amorevoli» nel rapporto di coppia, mostrano «emozioni» e si esprimono in molti modi, attraverso la posizione delle piume («i maschi esprimono il loro potere alzando le piume sulla testa, così che sembrino orecchie, e abbassando quelle del ventre, che così sembrano pantaloni») e attraverso un «linguaggio primitivo», fatto di richiami diversi («uno è molto squillante, per avvertire: questo è il nostro territorio, non passare; hanno una vocalizzazione più dolce quando si lisciano le penne, o con i piccoli; e poi ce ne sono altri, per dire guardami, sono forte, oppure stammi lontano»). E, infine, sono in grado di riconoscere, altri corvi e perfino esseri umani: «Ho fatto un esperimento in cui portavo una maschera, ed entravo nella voliera con altre persone: sono sempre venuti da me e non dagli altri, mi riconoscevano».

All'inizio gli davano poco credito: «Mi dicevano: sei pazzo?, ma come farai a studiare i corvi? Perché sa, sono piuttosto timidi, e difficili da osservare». E questo si può immaginare...

«Ma poi mi hanno così affascinato, che sono entrato sempre più nelle loro vite. Li ho anche dipinti negli acquerelli, e disegnati: perché, disegnandoli e ridisegnandoli, riuscivo a osservarli sempre più da vicino. E così, insieme, abbiamo trascorso vent'anni».

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