"Non faccio film per l'Oscar, ma per me"

L'attore a Roma ha presentato "The Revenant": "Quello che mi interessa sono le opere che restano nel tempo"

"Non faccio film per l'Oscar, ma per me"

Attenzione, niente foto. Togliete i cellulari. Non superate il cordolo rosso. L'incontro a Roma con Leonardo DiCaprio e Alejandro González Iñárritu, protagonista e regista di Revenant - Redivivo, inizia così, con una serie di divieti che fanno scattare voci incontrollate su un DiCaprio particolarmente nervoso. Rumors da Hollywood sul Tevere subito smentiti da un collega che ha avuto un incontro ravvicinato del terzo tipo con il divo nei bagni del hotel St. Regis blindato e assediato da decine di fan: «è stato gentilissimo, mi ha tenuto la porta». E in effetti l'attore, candidato all'Oscar per la sesta volta proprio con il film uscito ieri in 500 sale, al gruppo di giornalisti che lo ha intervistato è apparso proprio così, calmo, affabile, disponibile e preciso. Tanto che non ha fatto una piega neanche alla fatidica domanda sull'Oscar mai ottenuto.

Di Caprio, che sia la volta buona, il prossimo 28 febbraio?

«Non faccio film per avere i premi, ma per realizzare opere d'arte che restino nel tempo. Comunque, se i riconoscimenti portano il pubblico al cinema ben venga. Ringrazio l'Academy per le dodici candidature perché rappresentano un riconoscimento per il viaggio che abbiamo fatto insieme. Abbiamo speso un anno della nostra vita, abbiamo dato tutti noi stessi e il risultato è stato lusinghiero».

La macchina da presa non molla un attimo il suo personaggio, leggendario esploratore e cacciatore, lo segue per tutto il suo viaggio a metà '800 nel Nord degli Stati Uniti, tra Missouri e South Dakota, alla ricerca della personale vendetta.

«Quello che vediamo nel film, il mio alito sull'obiettivo della macchina da presa, il sangue che schizza, l'acqua che lo bagna, voleva essere un modo per rendere l'esperienza degli spettatori incredibilmente interattiva. Per sentire in modo viscerale ciò che stanno vivendo i personaggi. Il regista e il direttore della fotografia, Emmanuel Lubezki, ti fanno entrare letteralmente dentro questo mondo naturale in una sorta di neorealismo, senza soluzioni di continuità».

In effetti uno degli elementi principali del film è la Natura.

«Credo che siamo riusciti a fare un film che s'immerge nei sentimenti più profondi e intimi dei personaggi e allo stesso tempo si fonde con paesaggi così belli. Un lavoro fenomenale e grandioso, non avevo mai partecipato a un film dove la padronanza del mestiere fosse così evidente».

Dove ha trovato l'ispirazione per un personaggio che per gran parte del film è muto dopo l'attacco dell'orso in una sequenza già leggendaria per il suo realismo?

«Ho lavorato su una recitazione molto fisica, visto che sapevo dall'inizio che sarebbe stata una performance in gran parte senza voce. All'inizio è stato tutto molto istintivo, poi ho pensato all'epopea del mio personaggio, molto simbolica, una storia sulla capacità di sopravvivenza dell'uomo che è stata raccontata non dagli storici, ma intorno a un fuoco da tante generazioni di uomini di frontiera. Però sembra che non abbiamo ancora imparato nulla dalla storia».

In che senso?

«Noi raccontiamo la prima ondata verso Ovest, poi c'è stata la corsa all'oro e al petrolio. L'uomo per avidità ha continuato a violare i diritti delle popolazioni indigene, a danneggiare paesaggi e persone, sfruttandone le risorse».

Temi in linea con le sue battaglie sull'ambiente.

«Recentemente ho realizzato anche un film sul cambiamento climatico. Girando Revenant abbiamo toccato con mano il problema, tra zone aride e innevate. Un solo grado di temperatura in meno ti fa capire la fragilità del mondo naturale. Il 2015 è stato un anno simbolico, dal punto di vista meteorologico il più caldo. Forse con la recente conferenza di Parigi Cop 21 per la prima volta è stato fatto qualcosa per combattere il cambiamento climatico».

Progetti? C'è chi parla dei nuovi lavori di Scorsese e Eastwood.

«Ci sono idee che girano, ma niente di deciso. Revenant è stato un capitolo molto impegnativo e ora sia io sia il regista ci sentiamo un po' persi».

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