Sarà che se ne sono andati uno appresso all'altro. Oppure che in Italia le contrapposizioni vengono facili, troppo facili. Però qui e là, sulla carta stampata e sul web, molti hanno paragonato Enzo Jannacci a Franco Califano. Obliquamente oppure addirittura chiaramente. L'unico punto in comune dei commenti è stato che entrambi fossero cantori dei cosiddetti «ultimi», i reietti, i periferici, quelli abbandonati dal destino. Tutt'altro: entrambi cantavano i fortunati, ossia chi ama e chi sa sorridere.
In ogni caso, il paragone è scattato quasi automatico. Errore gravissimo, direi imperdonabile. Naturalmente, come sempre accade in questi casi, sono i contesti a fare la realtà. Per usare un'immagine attuale, molti ritengono Jannacci presentabile e Califano no. Impresentabile. E sin dagli anni Settanta, quando non si accodò al vento politico che sconvolse la canzone d'autore e continuò a scrivere ciò di cui sapeva parlare, ossia l'amore sofferto. L'amore felice, si sa, non è poetico.
Califano lo era perché il suo amore era sempre di là da venire oppure era appena andato via. Una volta disse: «L'amore si capisce solo dopo». Ossia quando si scrivono i testi delle canzoni. Le sue, peraltro, sono cantate in tutti i pianobar del mondo, magari con accenti sbagliati ma sempre molta aderenza allo spirito che è comune dappertutto: la sofferenza di chi ama ha una lingua sola. Da E la chiamano estate alla Nevicata del '56, capita di ascoltarle nei club o negli aeroporti da New York a Mosca, e non è una esagerazione post mortem.
Jannacci era un'altra cosa: geniale, surreale, creativo, mai didascalico. Era il figlio sghembo di un fotografo: scattava istantanee parallele. Ed erano folgoranti, uniche e quindi imparagonabili. Non ci sarà un altro Jannacci. E non c'è mai stato. Perciò ogni confronto è del tutto privo di significato. A meno che non sia stucchevole e drasticamente politico. Per capirci, la perdita di Jannacci ha suscitato i commenti più nobili, da Dario Fo fino a Fabio Fazio.
Su Califano, amatissimo dal pubblico e benedetto ieri da Fiorello («Era lontano dalle ipocrisie») hanno parlato molti meno. Sarà che era Pasqua. O sarà che certi luoghi comuni non li spazza via neppure la morte. Come ha scritto ieri Celentano: Jannacci da lassù riderà. Ma forse Califano ci rimarrà male. Come sempre. E senza ragione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.