Dal nostro inviato
«Crescendo a Londra, subito dopo la guerra e poi negli anni Cinquanta, io e i miei amici ci eravamo abituati a sentire i nostri genitori parlare dei bei vecchi tempi», dice Michael Caine: «Ci chiedevamo cosa ci fosse di così bello in quei giorni...» Con il cibo e il riscaldamento razionati, l'impero svanito, la grandezza passata ormai un ricordo, l'Inghilterra era allora un Paese in bianco e nero dove la classe dirigente faceva finta che non fosse cambiato nulla, per non dover ammettere che invece era cambiato tutto. La crisi di Suez del 1956, ultimo tentativo di riportare indietro le lancette della storia, fu da un lato la campana a morto per una certa idea della nazione, del suo ruolo, delle sue ambizioni e dall'altro l'epifania di ciò che ne avrebbe preso il posto. «Semplicemente dice ancora Caine - la giovane classe operaia disse: Siamo qui, questa è la nostra società e non ce ne andremo! Prima, quelli con il mio accento cockney, non posh, venivano guardati con il sorriso distratto che si riserva ai meno fortunati: eravamo come delle figurine di contorno e immobili di un arredo scelto dagli altri... Invece cominciammo a muoverci e, soprattutto, cominciammo a parlare. Era una lingua fresca, vivace».
My Generation, il documentario fuori concorso di David Batty, che ha appunto Caine come voce narrante e filo conduttore è il racconto visivo di quegli anni Sessanta, ribelli e pieni di speranza, che cambiarono in profondità la società britannica e diedero il là a quello che poi sarebbe divenuto il decennio più turbolento della seconda metà del secolo. «Mia madre faceva la donna delle pulizie, mio padre il pescivendolo. Volevo qualcosa di più e di meglio. A scuola ci insegnavano a rispettare i nostri superiori. Non ho mai capito chi dovessero essere. Ho visto un sacco di eguali, ma non ho mai visto superiori. Presi il mio nome d'arte dal manifesto di un film in Leicester Square, dove c'era un attore che amavo molto, Humprey Bogart: L'ammutinamento del Caine, era il titolo. Se avessi guardato a sinistra invece che a destra della piazza, oggi mi chiamerei La carica dei 101...»
Sfondo grandioso per qualsiasi film, la Londra degli anni Sessanta allinea nomi come i Beatles, i Rolling Stones, gli Who, Mary Quant, Jean Shrimpton, Twiggy, Vidal Sassoon, David Hockney, e quindi il beat e il rock, le modelle, le minigonne e la pop art, Carnaby Street, King's Road e i ritratti fotografici. David Bailey, che è un ragazzo dislessico cresciuto nell'East End, trova proprio in Jean Shrimpton, gambe esageratamente lunghe che ricordano Bambi, un misto di sensualità e pudore, la sua fonte di ispirazione rispetto alle indossatrici patinate ancora in auge: «Fino ad allora, un fotografo di moda era alto, magro e omosessuale... Io ero differente: piccolo, tozzo ed eterosessuale».
Cantore per immagini della popocrazy, a Bailey, ai suoi scatti, si deve The Birth of the Cool, la nascita di un nuovo spirito del tempo. Il giovane Mick Jagger del 1964, giacca di tweed e colletto della camicia a due bottoni; Jean Birkin e i suoi seni da bambina; Michael Caine, appunto, e la sua classe senza classe mentre si prepara a impersonare l'anti-Bond, l'agente Palmer della Pratica Ipcress, occhialuto, niente champagne e tutto libri...
La Swinging London di My Generation è un concentrato di sfacciataggine e di indifferenza, di freddezza e di naturalezza, tutti significati che la parola cool incarna. La fine di un'epoca si intravvede nella scelta di chi è chiamata a impersonarla, Penelope Tree, la modella diciassettenne figlia di un banchiere e di un'ambasciatrice all'Onu che sul finire del decennio diverrà la nuova musa di Bailey. Con l'eccesso dei suoi lineamenti, un che di febbrile e di grottescamente infantile, spiega cosa si sta preparando dietro l'angolo. «Penelope si appassionava alle cause più estreme, il Black Power, per esempio. La nostra casa divenne un luogo di incontri per gente che fumava la mia marijuana, beveva il mio brandy e poi mi accusava di essere capitalista».
Caine è da anni Sir
Michael. Non ricorda con rabbia, guarda avanti con speranza e non si piange addosso. «Preferisco essere povero a casa mia, piuttosto che ricco, ma comandato da altri», dice a proposito della Brexit. E anche questo è cool.
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