Beppe Fiorello afferra il microfono e attacca La donna riccia. Un brivido serpeggia fra i presenti. Stesso timbro, stessa pronuncia, perfino stesse nasalità. Identico. Beppe canta (quasi) come Mimmo. E la più sbalordita è Franca Gandolfi, vedova Modugno: «Quando Beppe mi fece sentire il Vecchio frac nel suo cellulare, Ah - commentai - ti porti dietro Mimmo per imparare a rifarlo?. E lui: Ma quello non è Mimmo. Quello sono io».
Scontato supporre che, affidato al noto mimetismo del popolare attore, Volare. La grande storia di Domenico Modugno (che di «Mister Volare» racconterà i primi passi fino alla clamorosa esplosione sanremese) offra una credibile, a tratti impressionante identificazione tra personaggio e interprete. «Eppure non volevo imitare Modugno come a Tale e quale show - spiega Fiorello -. Mi concedo qualche modugnata, è vero; ma la mia è una vera interpretazione». Il rischio della miniserie, in onda il 18 e il 19, è - semmai - lo stesso di tutte le fiction che tentano di resuscitare personaggi ancora troppo vivi. Il rischio museo delle cere. Le controfigure-sosia di Claudio Villa, Johnny Dorelli, Franco Migliacci, Riccardo Pazzaglia circondano con effetto quasi imbarazzante i due protagonisti (lei è una Kasia Smutniak dall'improprio accento slavo). C'è un che di ovvio e didascalico nella sceneggiatura, che pure è firmata Rulli e Petraglia («Come unica condizione - racconta la signora Modugno - volevo loro due»); e un che di cartolinesco anche nella regia, che pure è siglata Riccardo Milani («Ho voluto raccontare l'Italia ottimista e di cui Modugno divenne simbolo internazionale»). Ma forse è proprio questa ovvietà che si chiede a questo tipo di fiction. «La Rai la progettava da tempo dopo molte false partenze - ammette Tinni Andreatta di Raifiction -. Ora crediamo d'aver trovato la chiave giusta.
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