Nel 1961, quando Louis-Ferdinand Céline morì all'età di 67 anni, Lucette, sua moglie, fu finalmente libera di vivere. Ci prese talmente gusto che è morta solo ieri, a 107 anni di età, e si potrà anche dire che il destino in qualche modo avesse deciso sin dall'inizio di ripagare con gli interessi ciò che nel primo mezzo secolo le aveva fatto pagare. Allora, alla morte dello scrittore maledetto per eccellenza, Lucette aveva 49 anni e fra la fuga dalla Francia attraverso un'Europa in fiamme, l'esilio forzoso in Danimarca, il rientro in patria grazie a un'amnistia, l'autoesilio volontario sule alture di Meudon, si era giocata quasi vent'anni della sua esistenza nel ruolo di moglie invisibile di un uomo impossibile. Céline non usciva mai di casa e, tranne rare occasioni, non riceveva, un morto che cammina, artisticamente e fisicamente, il cui unico obiettivo era riprendersi quella gloria letteraria finita nella polvere per le sue scelte politico-ideologiche.
La decadenza fisica di lui prese via via le caratteristiche di una catastrofe, un corpo che sempre più si incurvava, un volto che sempre più si incavava, dei panni che sempre più coprivano, ma non vestivano, laceri, sporchi stracci senza forma... Al primo piano del villino di Meudon dove vivevano una vita di autoreclusi per scelta di Louis, accettazione di Lucette, lei aveva ricavato la sua camera e organizzato una sala di danza. «Danza classica e di carattere» era l'insegna che aveva voluto mettere al cancello, sotto quella di «medico» scelta dal marito. Gli allievi, come i pazienti, erano rari. Per gli uni e per gli altri era Madame Almanzor.
Nel decennio dell'esilio volontario di Meudon, Céline fece di Lucette la Lili e l'Arlette dei suoi ultimi romanzi, oggetto di desiderio e di ammirazione, «Ofelia nella vita, Giovanna d'Arco nella prova», ninfa pagana e gentile, «natura tutta armonia, danzatrice nell'animo e nel corpo, tutta nobiltà... Oh, lei ha i segni Arlette, felicemente! Le danzatrici, le vere, quelle che ci nascono, sono fatte di onde, diciamo! Non di carne... È utile nelle ore atroci... niente parole, allora! Basta parole! Solamente le mani! Le dita... un gesto... una grazia... È tutto».
Dopo che Céline morì, Madame Almanzor, Lili, Arlette, divenne per tutti Madame Céline: la sua esistenza alimentava l'illusione che in qualche modo in quella casa lui continuasse ad esserci: si andava al 25 ter di route des Gardes, sulla strada che porta a Versailles, come si va in pellegrinaggio. Nel 1969 un incendio distrusse l'abitazione e Madame Céline la ricostruì tale e quale; gli morì il pappagallo del Gabon, Toto, e lei prese un Toto II, e così fece con i cani e con i gatti. Per certi versi accadde la stessa cosa con gli amici fedeli dei tempi bui, le Arletty, i Marcel Aymé. Alla loro scomparsa, via via che le Parche ne tagliavano il filo della vita, Madame Céline li rimpiazzava con amici più giovani, ma egualmente fedeli...
Nel mezzo secolo e passa di Lucette senza Louis, per lei ci sono stati l'esame per prendere la patente e l'acquisto di una macchina, i viaggi in Asia, Giappone, India, Tailandia, in Africa, Kenya, Tanzanica, nel Mediterraneo, Marocco e Grecia, Tunisia e Spagna, Italia, nel nord-Europa, i fine settimana a Dieppe, le corse a Parigi per uno spettacolo di teatro o di danza, una serata al cinema, gli acquisti da Fauchon per le cene della domenica con amici, conoscenti, ammiratori: Charles Aznavour e Maurice Ronet, Claude Berri e Fabrice Luchini, Françoise Hardy e Philippe Sollers, Jacques Vergès e... Carla Bruni. Un universo completamente diverso rispetto al precedente, eppure non nuovo. Nel 1936, quando Louis e Lucette si misero insieme, lei appena tornata da una tournée negli Stati Uniti, lui fresco del nuovo scandalo di Mort à crédit, erano una ragazza curiosa e piena di vita di 24 anni e un quarantenne sensibile, colto e divertente. Alto più di un metro e ottanta, biondo con gli occhi azzurri, abiti di buon taglio e stoffa inglese, di casa a Ginevra come a Vienna, A New York come a Londra, già sposato e già divorziato quel Céline era un uomo di mondo... Poi il mondo non fu più lo stesso, e lui nemmeno.
Da vent'anni ormai, Madame Céline non usciva più: le gambe avevano smesso di funzionare, tre persone si occupavano della sua salute, ma i rendez-vous domenicali per quanto diminuiti hanno continuato ad esserci quasi fino all'ultimo: dal punto di vista della verve e della testa, Lucette era rimasta quella di sempre.
Nel tempo l'indirizzo di route des Gardes al numero 25 era divenuto lo spazio fuori moda eppure alla moda di un culto, il luogo intemporale dove soffiava un certo spirito del tempo, un salotto da tè che sapeva dello zolfo dell'inferno umano e artistico proprio di Céline. Intelligentemente, Madame Céline aveva messo la sordina sul Céline maledetto, dedicandosi al suo riscatto di scrittore puro e costruendo in alternativa l'immagine di un uomo sofferente, buono, travolto dagli eventi...
Fatalmente, la casa di Meudon era divenuta lo spazio dove la sovversione si era fatta istituzione, il sole nero dell'ignominia era andato sempre più tramontando, un cimitero di vivi che assomigliavano a dei morti e dove l'unico veramente vivente era il morto periodicamente ricordato, difeso e amato, una sorta di Père-Lachaise alla rovescia. Il più infrequentabile degli scrittori di Francia aveva lasciato la più frequentata delle vedove. Adesso sono di nuovo insieme.
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