Ora Raitre benedice anche i black block (con i nostri soldi...)

Domenica un documentario sul G8 di Genova sposa tesi estremiste. Che caso: al cinema c’è Diaz con la stessa teoria

Ora Raitre benedice anche i black block (con i nostri soldi...)

Il problema è sempre lo stesso: le fonti. Se Raitre, domenica prossima, manderà in onda il documentario Black Block di Car­lo A. Bachschmidt (previsto alle 23.45), al­lora sappiate che la fonte del documenta­rio è una sola: i simpatizzanti dei black block. Come se Al Qaeda legittimasse i mo­tivi dell’undici settembre. O Nixon avesse spiegato perché gli americani lanciarono il napalm sui villaggi vietnamiti. Una sola voce. Niente contradditorio. Quantome­no parziale, no? Quindi se vi interessa an­cora sapere cosa pensano i black block del G8 di Genova del 2001, beh, diciamo che qui c’è solo una collezione di deja vu. Se­condo loro ha provocato, come ha appena incredibilmente confermato Daniele Vica­ri, regista del film Diaz , «la fine della demo­crazia». Non a caso, il produttore di Black Block, ossia Domenico Procacci, ha garan­tito che «il documentario non ha voluta­mente contraddittorio». Incredibile. Il re­gista dice che «sono testimonianze, filma­ti e ricostruzioni di quello che o accaduto dicei anni fa». Ma come fa ad essere credi­bile una tesimonianza univoca? Se vi inte­ressa invece, come interessa a tutte le per­sone di buon senso, sapere cosa è succes­so sul serio, cambiate canale. In Black Block c’è una rassegna di interviste a Lena e Niels da Parigi, a Chabi di Saragozza, a Mi­na di Parigi, a Dan di Londra, a Michael di Nizza, a Muli di Berlino che quel pazzesco giorno di luglio erano a Genova nei dintor­ni della scuola di Bolzaneto dove si arrivò alla tremenda climax (badate bene: alla cli­max) di un week end di straordinaria follia che, a differenza di quanto dice Vicari, non ha ucciso la democrazia ma ne ha fatto va­cillare le fondamenta. Senza distruggerle. Non importa essere black block. Importa essere ragionevoli. Chiunque sia stato in quei momenti davanti alla tv si è accorto di cosa stesse accadendo tra i carrugi e le stra­de di Genova, prima e dopo la fatidica li­nea rossa, nelle piazze dove una moltitudi­n­e scalmanata non stava protestando con­tro qualche abominio inenarrabile ma contro un consesso di persone elette dal popolo. La protesta, si sa, è del tutto accet­tabile.

Gli eccessi no.

E qualsiasi spettatore, di fronte a vetrine sfasciate, strade devastate, cittadini asser­ragliati in casa per paura, non può che ave­re avuto una reazione sgomenta. Eppure lo sgomento non è stato consentito dagli opinion leader. Chiunque abbia buon sen­so, non può che avere dubbi, farsi doman­de, chiedere verità. L’unica cosa da esclu­dere è di averle di diritto, queste benedette verità. Invece, a quanto si deduce dalle pro­messe di questo documentario, tramesso peraltro dalla tv pubblica ossia bipartizan per ragione sociale, è che la verità esista già: i buoni tutti da una parte. E i cattivi dal­l’altra. Sappiamo che non può essere così. Ma tutti si possono chiedere come mai il documentario Black Block , evidente apo­l­ogia di un movimento da cui persino gli in­dignados hanno preso distanza, sia tra­messo poco dopo il flop di Acab e proprio in sintonia con l’arrivo nelle sale del film

Diaz , girato da Vicari e prodotto da Procac­ci, che legittima la stessa tesi.

Poliziotti cat­tivoni. Black block tutti santi. Una sorta di product placement, di sinergia intellettua­le ( intellettuale?), di forcipe mediatico che conduce a una sola conclusione. Ennò. Il pudore ha un limite. E qui è ampiamente superato.

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