Oren, un'«Aida» vitale ma con troppa luce

Rivedendo l'Aida alla Scala nel famoso allestimento di Lila De Nobili (scene e costumi) e Franco Zeffirelli (ripresa da Marco Gandini in occasione dei 95 anni del grande regista fiorentino) abbiamo compreso, una volta di più, l'importanza delle luci, Troppa luce, come in questa ripresa, può sgualcire la scena più fantasiosa e cancellare i chiaroscuri di una maga del flou come la De Nobili, rendendo anche i costumi passamanerie presepiali. Questo spettacolo che ha fatto la storia della Scala negli anni Sessanta del Novecento è stato apprezzato dall'attuale pubblico, il quale ha festeggiato più il tenore Fabio Sartori, Radames probo e sicuro anche se attore rudimentale, che il soprano Krassimira Stoyanova (Aida), una voce con una linea di canto a tratti regale, purtroppo oscurata nella dizione italiana. Accanto alla corposa presenza scenico- vocale dell'Amneris di Violeta Urmana, la prova migliore della serata è stata quella di George Gagnidze, veemente Amonasro. Bella voce ma calibro ridotto il basso Vitali Kowaljow (Ramfis); velo di pietà per il Re d'Egitto (Carlo Colombara). Ottimo un giovane tenore dell'Accademia scaligera: Riccardo Della Sciucca (Messaggero). Il Coro istruito da Bruno Casoni si trovava nel suo elemento naturale, iper-stimolato dalla direzione fisica di Daniel Oren, che faceva il suo festeggiato debutto alla Scala.

A parte indugi temporali che qualche volta hanno creato imbarazzi ad Aida e Ramfis, e sonorità forti di grana grossa, una prova, quella di Oren, concreta e vitale. Energie che in teatro, e la Scala non fa eccezione, non bastano mai.

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