Gabriele Muccino pare aver ritrovato il suo stile. Dopo il deludente "Quello che so sull'amore" di un paio di anni fa, che fu in qualche modo rinnegato dallo stesso regista, arriva nelle sale "Padri e figlie", questo il titolo della pellicola in uscita in quasi quattrocento cinema. Il film parla del peso delle ferite dell'infanzia nel cammino verso la maturità emotiva e illustra quanto il dolore di una perdita possa tradursi in paura d'amare. La sceneggiatura, scritta da Brad Desch, delinea l'evoluzione, nell'arco di 25 anni, della toccante e drammatica storia d'amore tra un padre e una figlia. New York, 1989. Jake Davis (Russell Crowe) è uno scrittore che ha già vinto un premio Pulitzer. Quando sua moglie muore in un incidente d'auto, l'uomo inizia a sviluppare una serie di problemi fisici e mentali. Costretto a un temporaneo ricovero presso un ospedale psichiatrico, deve affidare la figlia di cinque anni, Katie (Kylie Rogers), alla zia materna (Diane Kruger). Una volta dimesso, Jake pensa che il peggio sia passato, ma non è così: il suo nuovo libro si rivela un insuccesso e i parenti tentano di strappargli la figlioletta intentando una causa per l'adozione che lo riduce sul lastrico. Venticinque anni più tardi, sempre a New York, Katie (Amanda Seyfried) è diventata un'aspirante psicologa che assiste bambini disagiati e che ha il problema della dipendenza dal sesso occasionale. Concedersi a chiunque, rifiutando di instaurare legami, è l'unico modo che conosce per arginare il vuoto d'amore lasciatole dall'adorato padre senza rischiare di soffrire di nuovo. E' una giovane donna in grado di aiutare gli altri ma non se stessa, a causa dei traumi vissuti un quarto di secolo prima.
Tutto gronda sentimenti in quest'opera dal registro narrativo melodrammatico che si articola su due diversi piani temporali, saltando continuamente tra gli anni '80 e i giorni nostri. Nelle scene con Russell Crowe, l'esistenza dell'artista, sempre in bilico tra soddisfazione e delusione, in conflitto con i critici, spesso preda di crisi creativa, sotto pressione per le aspettative esterne così come per l'ispirazione intermittente, è resa alla perfezione. Il cast è talmente nutrito di attori di prim'ordine che finisce per sacrificarne buona parte in ruoli appena accennati, limitando quindi a poco più che camei la presenza di Jane Fonda, Octavia Spencer e Quvenzhané Wallis. Va un po' meglio a Diane Kruger, la cui bellezza algida ed elegante ben si adatta ai panni della zia gelida e rancorosa, una donna che sembra avere avuto tutto dalla vita quando, invece, ha avuto solo il superfluo e annega tale consapevolezza nel bicchiere. Partendo da quello che il regista ha definito un "microcosmo di umanità ferite", il film mette in scena vita vera ed emozioni universali puntando quasi a costituire una seduta di terapia di gruppo per il pubblico in sala: del resto tutti siamo figli, siamo stati bambini e, presto o tardi, chiamati a rapportarci con il dolore e con gli affetti. Muccino, inoltre, affida alla pellicola un paio di messaggi edificanti. Da un lato, grazie all'esempio del padre protagonista della prima parte, invita a dar fondo alla propria forza interiore anche nelle situazioni più disperate, dall'altro, nelle scene dedicate alla figlia adulta, rammenta la potenza salvifica dell'amore. Si esce dalla sala storditi dall'overdose di emozioni messe a nudo su schermo.
Eppure, "Padri e figlie" evapora velocemente dalla memoria perché tutto quell'agitarsi emotivo non riesce a smuovere nel profondo, nella commozione vera, cosa che riesce solo ai grandi film. Col passare dei giorni resteranno addosso dei fotogrammi, insieme dolenti e teneri, ritraenti Russell Crowe e la piccola Kylie Rogers. Quella tra loro è l'unica magia che si farà ricordare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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