Cultura e Spettacoli

Un poeta fragile e imperfetto riscoperto anche dai giovani

Una mostra al Quirinale, tra scatti e spezzoni di film, per ricordare l'attore scomparso venticinque anni fa

Un poeta fragile e imperfetto riscoperto anche dai giovani

«Al mio cuore malandato/Almeno a lui ho messo le ali.../Io, padrone di un bel niente/Neppure di me stesso». Il 4 giugno 1994 moriva, a soli 41 anni, Massimo Troisi per un attacco di cuore (due volte operato a Houston: Abbiamo un problema!) che la poesia Al mio cuore, scritta nei primi anni Settanta «mentre la situazione/politica italiana/Andrebbe seguita/con molta più attenzione, aveva messo in conto perché «non è così importante/che muoia qualcosa dentro/Io cedo qualche sogno/e un po' di libertà». E la moltitudine dei suoi ammiratori ringrazia. Ancora. Perché la sua forza artistica è, come all'epoca, trasversale. E oggi, grazie soprattutto a Youtube, sono tanti i giovani che la (ri)scoprono.

Ma ricordare Troisi, anche come persona oltre che come personaggio (ma c'è davvero una differenza quando parliamo di lui?), è fondamentale, così a 25 anni della morte arriva la mostra fotografica e multimediale «TROISI poeta MASSIMO», fino al 30 giugno a ingresso gratuito al Teatro dei Dioscuri al Quirinale di Roma, curata da Nevio De Pascalis e Marco Dionisi con la supervisione di Stefano Veneruso, nipote dell'attore-regista, e prodotta da Istituto Luce-Cinecittà con 30 Miles Film. Attraverso i cinque ambienti che portano alla sala del Teatro dei Dioscuri (dove ogni sera, fino al 28 aprile, la mostra verrà messa in scena in uno spettacolo omonimo con accompagnamento musicale) viene ripercorsa tutta la fulminante carriera di Troisi nato a San Giorgio a Cremano, il 19 febbraio 1953, in una casa divisa con i genitori (il padre ferroviere), i cinque fratelli, i nonni, gli zii e via elencando: «Sono nato in una casa dove vivevano sedici persone. Ecco perché quando ci sono meno di quindici persone mi prendono dei violenti attacchi di solitudine», ricorda la sorella Annamaria in una delle testimonianze che concludono il prezioso catalogo di Edizioni Sabinae.

Certo la prima sala è quella più epifanica, perché ci racconta un Troisi meno conosciuto, dall'infanzia - quando già componeva poesie - alla gioventù, dal campetto di calcio che dovrà lasciare per la comparsa dei problemi al cuore fino alla foto accanto a Maradona per una partita di beneficenza al San Paolo di Napoli nel 1989. E si inizia con il naso all'insù perché la grande volta, è interamente ricoperta da un patchwork di immagini di Troisi realizzato da Marco innocenti. Un omaggio al suo essere un artista totale, un Pulcinella senza maschera, come è stato definito, erede della tradizione partenopea ma capace di attualizzarla in maniera originale. In questo senso la mostra si sofferma sull'esperienza fondamentale del Centro Teatro Spazio, un garage a San Giorgio a Cremano adattato a teatrino dove Troisi all'inizio del 1970 si cimenta nelle prime farse con la compagnia Rh Negativo (con, tra gli altri, Pino Calabrese e Lello Arena) su donne, politica, aborto, religione e Chiesa (bellissima l'immagine di Troisi sulla croce). Tutti temi che torneranno, come la mitica calzamaglia nera, negli spettacoli del gruppo formato con Enzo Decaro e Lello Arena, La Smorfia.

Ed eccoci alla tappa fondamentale, quella televisiva, che lancia Troisi nell'olimpo dei comici. Correva l'anno 1978 e Enzo Trapani ideava Non Stop, fucina dei futuri campioni d'incasso del cinema italiano, Carlo Verdone, I Gatti di Vicolo Miracoli, I Giancattivi, e La Smorfia o, meglio, Massimo Troisi: «Rimasi molto colpito dai tempi di recitazione di quello che era il fulcro del trio. Rimasi incantato, ma talmente incantato che dissi: Ma questo è talmente grande ndo vado io con i personaggi miei?». Parola di Carlo Verdone per il quale Troisi «aveva l'arte di nascondere l'arte, era sempre naturale, proletario ed elegante allo stesso tempo».

Come nei suoi film di grandissimo successo che decise di dirigere già dal primo, Ricomincio da tre del 1981 fino a Pensavo fosse amore e invece era un calesse del 1991, l'anno in cui Paolo Sorrentino, ventunenne studente di Economia e Commercio, gli inviava una lettera dattiloscritta chiedendo di prenderlo come aiuto regista. Cosa che non è accaduta. Certo Troisi ha sempre riconosciuto i suoi limiti di regista: «Io di Ricomincio da tre salverei solo un quarto d'ora, degli altri magari venti minuti. Ma è naturale vedersi e criticarsi, a meno che uno non sia un genio. Io non lo sono, non impazzirò mai per me stesso come regista». Perché «il cinema che faccio è un prodotto artigianale, un po' storto, imperfetto, come i vasi di ceramica fatti in casa». Ecco il vero Massimo Troisi che questa bella mostra ci racconta, quello che vediamo nelle inedite riprese del backstage sul set del suo ultimo film, Il postino di Michael Radford (l'attore è morto due giorni prima della fine delle riprese), quando deve baciare Maria Grazia Cucinotta e scoppia in ripetute risate. Con quel suo tipico sguardo, d'ingenuo imbarazzo, non moralistico ma morale.

Di altri tempi.

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