Politici, editori e scrittori Hanno cambiato tutto per non cambiare niente

Franceschini ripete a Torino il discorso fatto a Milano. Sfilata dei soliti guru. Lingotto affollato

Politici, editori e scrittori Hanno cambiato tutto per non cambiare niente

nostro inviato a Torino

L'unica novità rispetto al passato una vera rivoluzione è la presenza di Luigi Di Maio. Un grillino nel tempio del libro e della cultura è retoricamente un ossimoro, politicamente uno spot elettorale. Per il resto, tutto immobile sotto la Mole.

Benvenuti al Salone del Libro di Torino, edizione del trentennale: la più bella come per le donne, è l'età perfetta e la più difficile. Milano non è mai stata così vicina, e non solo in treno. Ieri sul Lingotto aleggiava lo spettro di Tempo di libri, Fiera Milano-Rho. Confronto? Collaborazione? Sfida? La terza che abbiamo scritto.

La sfida inizia alle ore 11, Sala Gialla, immensa e piena. Chi credeva che per vincere il certame letterario (è una metafora) con Milano, Torino cambiasse tutto, beh, ha dimenticato il segnalibro infilato nella celebre pagina del Gattopardo. Per vincere, Torino ha deciso di lasciare tutto uguale, non toccando niente. I sabaudi pazienza e aplomb non hanno unito l'Italia. L'hanno conquistata. Sarà così anche con la Milano editoriale? A Torino il massimo dell'innovazione è la tradizione. Il futuro più rassicurante è il passato già sperimentato.

Il passato pronti, via scorre nel videomessaggio che apre la cerimonia d'inaugurazione. A fare gli auguri al Salone del Libro, i soliti guru. Apre Roberto Saviano. Poi Carlo Petrini, Alessandro Baricco, Massimo Gramellini, Loredana Liperini, Gustavo Zagrebelsky e Andrea Camilleri. Wow. Aria di novità al Lingotto. L'asse progressista politico-culturale Lingotto-Repubblica-Feltrinelli-RaiTre è inossidabile. Trent'anni di Salone del Libro, venti di antiberlusconismo, dieci di bestseller televisivi non sono passati invano. Tutto è così com'era, e tutto così resterà. Se qualcuno vuole cambiare, lo farà Milano.

A Torino intanto sfila un interminabile sermone di Presidente del Salone, Massimo Bray, più lungo di un volume Treccani. Dice che è emozionato. Lo dice sempre. Poi cita letteralmente: «Chi non legge, non sa perché sta al mondo». Umberto Galimberti, su Repubblica. Nicola Lagioia, direttore del Salone, camicia bianca e abito nero, cita invece Svetlana Aleksievi. Poco prima che via Twitter si sparga il fake della sua morte. Il sindaco Chiara Appendino evoca per la seconda volta nella mattinata Italo Calvino (alla fine saranno tre le citazioni, contro le due di Cesare Pavese), il governatore del Piemonte Sergio Chiamparino ricorda che l'ultima volta che ha visto un tale scatto d'orgoglio in una città come Torino è stata per le Olimpiadi invernali del 2006. Mentre il ministro dell'Istruzione Valeria Fedeli cita una volta Adorno e due Ausvic (scritto: Auschwitz). Poi, al culmine di due ore circa di discorsi in cui non si pronuncia mai il nome di Milano che però è continuamente evocato, alluso, pensato il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini ripete, con intonazione e gesticolazione leggermente variata, lo stesso identico discorso tenuto un mese fa a Tempo di Libri (la prova scientifica che la lettura ad alta voce nei reparti di neonatologia cresce potenziali lettori, la proposta di nuovi strumenti legislativi a sostegno di editori, librerie, autori) Meglio non cambiare speech. Per par condicio. «E i cibi avanzati al banchetto funebre furono serviti al pranzo di nozze». Questo è Shakespeare, e la citazione è nostra.

Loro, dentro ci hanno raccontato lo stesso Salone di sempre. Noi, fuori, abbiamo visto invece un Lingotto diverso. Già mercoledì ci assicura una fonte sicura durante l'allestimento c'era più gente, a Salone chiuso, di quanto ce ne fosse a Milano il giorno di apertura di Tempo di Libri.

E, ieri, testimonianza diretta del vostro cronista, si è visto un Salone (per altro immutato: stessi editori, stessi allestimenti, stesso programma, stessi protagonisti) affollatissimo: scolaresche, famiglie, addetti ai lavori, visitatori normali. Sfidata da Milano, Torino si è militarizzata. E marcia tra gli stand del Lingotto. La guerra dei trent'anni continua.

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