Sveliamo un mistero: perché Tutto il calcio minuto per minuto partiva dal secondo tempo?
«Perché la Federcalcio era convinta che trasmettendo tutta la partita nessuno sarebbe più andato allo stadio. Pensa te...».
E noi che credevamo fosse una suspence creata ad arte. Ed è vero che all'inizio non si poteva interrompere le partite?
«Era una forma di educazione d'altri tempi».
E poi?
«La Roma segnò un gol all'Inter di Herrera e Enrico Ameri non si trattenne: “scusate, disse, Manfredini ha portato in vantaggio la Roma”. Da quel giorno cambiò tutto».
È vero che alla Rai l'idea di Tutto il calcio non piaceva?
«Guglielmo Moretti aveva ascoltato per caso in Francia una radio che trasmetteva calcio, rugby, basket in contemporanea. La propose. Gli risposero: a chi vuoi che interessi?...».
Le è mai capitato di scambiare un giocatore per un altro?
«Mica una sola volta. Ma ho fatto anche di peggio».
Cioè?
«Ho fatto segnare una squadra al posto di un'altra. Dissi: “due a zero per il Piacenza” e invece era uno a uno».
E com'è possibile?
«Nel nuovo stadio fecero la tribuna stampa con un vetro quasi psichedelico: ti faceva vedere una cosa per un'altra».
Il gol più emozionante che ha raccontato?.
«L'urlo di Tardelli al Mundial».
Il suo ricordo più bello?
«I mondiali in Argentina. Io sono nato lì...».
In Argentina?
«Mio papà era il custode dello stadio del Colon di Santa Fe. Praticamente sono nato negli spogliatoi».
Un predestinato. E il ricordo più brutto?
«Alle Olimpiadi di Atlanta mi scoppiò la bomba a due passi, fui gettato per terra con la gente che fuggiva impazzita».
E lei?
«Chiamai la Rai: c'è stato un attentato, dissi. Ma le agenzie non dicono nulla mi risposero. Te lo dico io: dammi la linea».
È stato lei il primo a dare la notizia?
«Il primo al mondo, prima ancora degli americani».
Che squadra era la squadra di Tutto il Calcio ?
«Una grande orchestra di fiati. Bortoluzzi era un signore vero, anche se il calcio non lo appassionava moltissimo».
Ameri?
«Eccezionale, generosissimo. Aveva le mani bucate: quello che guadagnava spendeva».
Ciotti?
«Sandro invece era uno un po' tirato. Tra i due c'era una differenza enorme: uno era ritmo, l'altro era prosa».
Perché Ameri prima di Ciotti?
«Ameri era stato assunto prima di Ciotti, la scaletta la fece l'anzianità di servizio».
Ma dai. E Ciotti se ne lamentava?
«Non lo sopportava proprio. Ma Enrico era più trascinante».
Nicolò Carosio lo ha incrociato?
«La prima volta che lo incontro mi dice: “tu sei Ezio Luzzi”. Mi sono commosso. Per me fu come l'investitura del re».
La radio ha ormai perso la partita con la tv?
«La radio non perderà mai. Neanche ai supplementari».
Ma senza più immaginazione che calcio è?
«Il calcio era più bello immaginarlo che vederlo. E certe partite di oggi sono molto più belle alla radio che dal vivo».
Chi le piace dei radiocronisti di oggi?
«Sono tutti bravi, però...».
Però?
«Sono tutti uguali, ripetono tutti le stesse cose».
E le radiocronache ultras?
«Sono inascoltabili. Più che una partita sembra un mercato».
Forse è la passione che fa gridare...
«Ai miei tempi c'era un argentino, Munoz, che gridava gooooooll e noi tutti a ridere. Oggi sono tutti sudamericanizzati».
Mai litigato con qualcuno?
«Pelè non volle darmi un'intervista. Lo mandai a quel paese».
E Maradona?
«Lo chiamavo paisà. E lui: “mi prendi per il c...”. Ma no, sono argentino come te. Maradona è meglio e Pelè».
Tra i calciatori di oggi chi potrebbe fare il radiocronista?
«Solo un mister: Mourinho. Ha già inventato un linguaggio».
É vero che oggi insegna radio ai giovani?
«Con mio figlio Paolo che lavora a La7 abbiamo inventato High School radio, la prima emittente al mondo interamente gestita da studenti. L'anno scorso hanno partecipato 58 licei in tutta Italia. Ora lo esporteremo in Europa e negli atenei».
Però...
«Portiamo la scuola dentro la radio e la radio dentro la scuola. Gratis. Abbiamo proposto la cosa al Miur, potrebbe persino essere materia scolastica».
E loro?
«Niente, ignorati. Renzi il grande comunicatore parla della buona scuola e questa è la sua risposta a centinaia di ragazzi. Sarà perchè non facciamo parte delle consorterie».
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