Rabbia e rimozione, il destino crudele dei figli dei nazisti

La giurista francese (ma con origini tedesche) Tania Crasnianski ha dedicato un libro proprio alla ricostruzione dei destini di questi fanciulli schiacciati dalle colpe dei padri

Rabbia e rimozione, il destino crudele dei figli dei nazisti

I figli del male, i figli del nazismo. Incolpevoli ma spezzati in due tra l'affetto verso i propri genitori e il giudizio di condanna senza appello che la Storia ne da. Questo è stato il destino della maggior parte dei figli dei gerarchi del Reich. Tanto più quando i loro genitori, come nel caso di Hermann Göring per citare un nome noto, erano stati molto attenti a separare il loro ruolo politico dalla vita domestica. Bambini che avevano creduto che lo «zio Adolf» fosse una persona deliziosa, come era per la piccola Edda Göring, e si videro raccontare dai soldati americani un'altra amara verità.

Un dramma insomma, anche se un dramma dei vinti che nelle macerie di un'Europa distrutta dalla guerra è passato, comprensibilmente, in sordina. Perché un conto è declamare che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, un conto è metterlo in pratica. Di fronte a certi cognomi come Himmler, Bormann o Mengele, ci fu chi non rinunciò a propositi di vendetta postuma.

Ora la giurista francese (ma con origini tedesche) Tania Crasnianski ha dedicato un libro proprio alla ricostruzione dei destini di questi fanciulli schiacciati dalle colpe dei padri. Il volume, appena tradotto in italiano, I figli dei nazisti (Bompiani, pagg. 264, euro 18) si concentra su alcuni casi emblematici e racconta storie che di norma si articolano sempre in due maniere. C'è chi ha scelto di restare fedele all'immagine domestica, rifiutando di guardare il lato politico e criminale del proprio genitore e c'è chi ha scelto di rimuovere ogni affetto, rinnegando tutto, sia il privato sia il pubblico. Al primo gruppo appartiene Gudrun Himmler. Arrestata a Selva di Val Gardena il 13 marzo 1945 (aveva 15 anni) non volle credere al suicidio del padre, il temuto comandante delle SS, e accusò gli alleati di averlo assassinato. Quando venne liberata studiò da sarta, ma ogni tentativo di lavorare poteva finire solo in un disastro. Sarta, impiegata, cameriera. Prima o poi veniva riconosciuta. A differenza di altri non ha mai voluto cambiare cognome, anche se adesso porta anche quello del marito, il giornalista Wulf Dieter Burwitz. Alla fine Gudrun è diventata una sorta di icona dei neo-nazisti tedeschi. Non dissimile il percorso di Edda Göring. Edda, nata nel 1938, era piccolissima durante gli anni della guerra. Del padre, da cui era amatissima, le è rimasto un ricordo solo familiare. Non ha mai preso posizioni politiche simili a quelle di Gudrun Himmler (anche se ha continuato a frequentare personaggi dell'entourage nazista), ma per lei il padre è sempre rimasto un esempio di bontà. Diversissima invece la scelta dei suoi cugini. Bettina Göring è arrivata a farsi sterilizzare per non rischiare di generare «mostri». Posizioni di rifiuto simili a quelle di Niklas Frank, figlio di Hans Frank, il governatore della Polonia nazificata. Per tutta la vita Niklas ha studiato gli orrori commessi dal padre per giungere alla conclusione che l'unica opzione è il ripudio completo e feroce.

Un ripudio esteso anche al di fuori della famiglia: «Voglio bene al popolo tedesco, ma non mi fido di lui».

Leggendo il libro della Crasnianski ci si rende conto di come per i figli dei nazisti, e a volte i nipoti, la banalità del male non sia relegabile al passato, non scivoli facilmente di dosso.

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