Renato Zero canta gli amori del Piper: «Una scuola di vita»

Minishow nel club per presentare il nuovo cd Amo: "Sono stato troppo trasgressivo, ora mi sono rotto"

Renato Zero canta gli amori del Piper: «Una scuola di vita»

Se poi a un certo punto della serata lui dice «chiunque cerchi una università di vita, torni qui», vuol dire che un cerchio si è chiuso. Renato Zero al Piper Club di Roma quarantacinque anni anni dopo la prima volta. E per presentare il suo nuovo disco, che detto tra noi è il trentunesimo della carriera, ed è anche uno dei più strutturati. Prodotto benissimo (al mixer c'è anche Trevor Horn, uno che ha prodotto McCartney e Genesis). E, bisogna dirlo, pieno di amore. Quello visto da Renato Zero, naturalmente. Non per nulla si intitola Amo e in copertina ha un bollo di ceralacca rosso perché, come spiega, «vuol dire che è definitivo». Però è «solo» il capitolo uno. Il due arriverà tra qualche tempo, forse il prossimo anno e avrà un brano inedito scritto da Armando Trovajoli.
La romanità più bella.

E quella più sincera perché Renato Zero, piaccia o no, è un istrione sincero nonostante tutto. Lui l'altra sera, in quel club dove ha iniziato facendo il ballerino di Rita Pavone nel suo show serale, ha cantato alcune nuove canzoni, da Chiedi di me a Un'apertura d'ali, che è un regalo postumo del grande Giancarlo Bigazzi, e poi ha iniziato a confessarsi: «Abbiamo confezionato un prodotto che costicchia, ma credo che siano pagine di musica ben scritte e ben arrangiate». Non esagera: torna dopo quattro anni senza dischi inediti e lo fa come meglio non avrebbe potuto. Disco pieno di vita e di vecchiaia. Di esperienza ed entusiasmo. L'altra sera, sul palco del Piper di fronte a qualche giornalista e ai suoi amici di una vita (come la biondissima custode Lilli, sorella di Marcello che poi «ha deciso di fare il passo ed è diventato Marcella» ma ora non c'è più), Renato Zero ha distillato nostalgia senza scadere nella retorica o nel tanto meglio tanto peggio. Lui vestito di nero con una bombetta in testa, i capelli nerissimi come l'abito. Un corpo di ballerini giovanissimi e sgarruppati proprio com'era lui quando Don Lurio lo notò e gli raddrizzò la carriera. E belle canzoni, molto più belle di quanto ci si possa aspettare da un artista che ha pubblicato il primo 45 giri nel 1967 e, grazie ai suoi travestimenti e alle scelte controcorrente, ha collezionato agli esordi una serie di insulti che «se li mettessi tutti in un libro, il Vaticano mi scomunicherebbe». Ma quante parole. Renato Zero si sa com'è: parla e parla, talvolta si compiace, spesso sfoggia quella nobiltà popolana fatta di grandi intuizioni («Se ci fermiamo a festeggiare ogni piccolo successo, allora la macchina di ferma») e di batture pecorecce («Sono stato troppo trasgressivo e ora me so' rotto li cojoni»). Nel complesso però qui si sente a casa: «Molto di quanto ho cantato nella mia carriera è nato proprio tra questi mattoni, sono stati cinque anni stratosferici per me».

Stavolta canta quanto non avrebbe potuto cantare allora: l'invecchiamento, la saggezza, il futuro. E ci scherza su: «A chi arriva a un'età come la mia potrebbe venir voglia di dire: vabbé, invece di cantare facciamoci due gargarismi. Ennò, non posso farlo proprio adesso che «sto bene, sono insolitamente allegro e amo, con tutte le controindicazioni». Dopotutto Renato Zero, specialmente a Roma, è un'istituzione. E non per nulla è il primo in Italia ad adottare la cosiddetta politica della residency, ossia dal 27 aprile oltre un mese di concerti al Palalottomatica di Roma. È una nuova tendenza, quella dei concerti stabili e difatti negli Stati Uniti la seguono un po' tutti, da Britney Spears ai Guns N'Roses. In Italia ci ha pensato lui ma, occhio, non è «una questione di pigrizia: è solo il desiderio di garantire la qualità dei suoni e il bisogno di incontrare il pubblico con i cinquanta elementi dell'orchestra diretta da Renato Serio». D'accordo, sarà, come spiega, «l'età che avanza». Oppure il desiderio di comunicare alle nuove generazioni: «Ho voglia di dire ai ragazzi: adesso vatti a divertire tu che io ti guardo». In ogni caso è il renatozerismo allo stato puro: sincero, persino maieutico. Qualche tempo fa Raffaella Carrà lo ha proposto come giudice di The Voice of Italy, il talent di Raidue. Lui pensava si trattasse di un paio di ospitate al massimo.

Poi «quando ho scoperto che a The Voice ce svernavo, gli ho detto de no. Anche perché, francamente, ciò ancora da cantà». Così Renato Fiacchini detto Renato Zero, anni 63, 45 milioni di copie vendute, trasgressivo sempre, anche controvoglia.

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