Cultura e Spettacoli

La rivoluzione? Religione moderna

Dagli anabattisti ai nazionalisti, un filo conduttore mai interrotto

Giampietro Berti

Luciano Pellicani, il maggior studioso italiano di sociologia politica, pubblica un'opera che riassume una parte importante del suo percorso di studio, sottoponendo a un'analisi critica un tema decisivo del pensiero storico-politico contemporaneo, il fenomeno rivoluzionario: Le rivoluzioni: miti e realtà (Rubbettino, pagg. 208, euro 15). Prende in esame i principali eventi che hanno attraversato l'età moderna: la Riforma protestante, la rivoluzione inglese, quella francese, quella russa, il nazionalismo novecentesco. È ovvio che dal punto di vista sociale, politico, ideologico e filosofico esistono tra questi eventi enormi differenze storiche. Tuttavia, a suo giudizio le diversità sono superate dalle aspettative che essi hanno sempre suscitato, riassumibili con le parole di Simone Weil: «la parola rivoluzione è una parola magica capace di compensare tutte le sofferenze, di placare tutte le inquietudini, di vendicare il passato, di rimediare alle infelicità presenti, di riassumere le possibilità dell'avvenire».

Interpreti di queste radicali speranze sono stati tutti coloro che si sono posti alla guida delle rivoluzioni. Assetati di assoluto, alimentati dal «profetismo millenaristico», hanno rappresentato le nuove figure religiose della modernità. Questa linea interpretativa spiega perché non vi sia, per Pellicani, alcuna vera soluzione di continuità fra tutti i rivoluzionari dell'età moderna e contemporanea: anabattisti, puritani, giacobini, marxisti, nazionalisti e tutte le altre specie di sovversivi dalla Riforma in avanti. Le differenze teoriche e le distinzioni dottrinarie che hanno caratterizzato le loro motivazioni ideologiche si sono rivelate infatti meno importanti rispetto alla comune mentalità che li ha pervasi, la cui caratteristica principale è quella gnostico-manichea. Lo gnostico-manicheo ha una dedizione assoluta alla causa con uno spirito di sacrificio permanente, perché interpreta la tendenza della politica a sostituire la religione, fino a identificare integralmente le due polarità in un'unica dimensione etica. Lo gnostico-manicheo è pervaso da un ascetismo metodico che comporta ortodossia, odio e intolleranza verso gli altri. Ciò spiega l'estremismo autoreferenziale e la conseguente pratica della violenza rivoluzionaria per edificare la società futura e realizzare il progetto di una nuova umanità. Gli esiti totalitari della rivoluzione più importante del '900, quella russa, danno conto di questa verità, mettendo a nudo i miti più nefasti della cultura della sinistra. È un grave errore, quindi, ritenere che la causa principale dell'evento rivoluzionario sia da individuare nel fattore economico, come sostengono i marxisti. Se fosse così, non si capirebbe perché per secoli la rivoluzione non si sia affacciata sulla scena della storia, data la condizione di indigenza che ha caratterizzato la vita di decine di generazioni. Certamente alcune condizioni materiali di particolare durezza per le masse popolari sono propedeutiche all'accendersi del fuoco rivoluzionario, ma la vera anima della sovversione radicale risiede nell'inquietudine esistenziale di alcune élites che si ergono a rappresentanti dei ceti inferiori. Esse sono quasi esclusivamente composte da intellettuali. La loro vocazione si esprime nel dirigere le coscienze, indicare gli scopi della vita al fine di produrre una profonda trasformazione dell'ethos pubblico. Le diverse forme sociali ed economiche che la rivoluzione di volta in volta ha assunto e può assumere sono sempre l'effetto, non la causa, di questa spinta.

Per Pellicani il capitalismo è il vero soggetto della storia moderna e la rivoluzione è la reazione succeduta a questa emergenza.

Essa è, allo stesso tempo, un prodotto del processo di secolarizzazione e una reazione alla dissoluzione di senso generata da questo stesso processo.

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