L’ecatombe è continua e spietata. Una strage dalla quale sarà difficile riprendersi. Un genocidio culturale, televisivo, mediatico. Cadono uno a uno, come nei film di guerra di Kubrick e di Malick. Li vedi stramazzare al «ralenti» sotto i colpi dell’Auditel, giudice incontrastato e inappellabile di nostra signora televisione. Il pubblico pigia un tasto sul telecomando e loro saltano in aria come avessero messo il piede su una mina nascosta. Sembra un videogioco, un game della playstation di nuova generazione. L’ultima vittima illustre è Fabio Volo, trecentoseimila followers su Twitter. Dopo l’esordio all’8 per cento con un milione e centomila seguaci, a resistere nelle successive puntate della sua striscia su Raitre sono rimasti in 450mila (3,12 per cento) nonostante la presenza di Oliviero Toscani oltre a una chiccosissima intervista al grande critico letterario Harold Bloom. Quella di Volo in diretta è solo l’ultima conferma: lo sbarramento al 3 per cento degli antiCav ha mietuto finora Daria Bignardi (l’altra sera al 3,76), Serena Dandini, Sabina Guzzanti, Corrado Formigli e Luisella Costamagna (arrampicatasi per una volta oltre il 4). Un paio di punti in più, nonostante si attardi nella celebrazione di Mani pulite in chiave anticorruzione, riesce a strappare Michele Santoro dalla trincea della multipiattaforma. E solo questo gli vale l’onore della professionalità - faziosa - raffinata al fuoco di tante battaglie. Ma detto ciò, il genocidio degli intelligenti e la strage degli ottimati rimangono. Anche perché tutti loro si somigliano e si assembrano nei palinsesti più o meno alle stesse ore e negli stessi giorni, contendendosi gli ospiti o lambiccandosi per scovarne di nuovi. Soprattutto, inseguendo il medesimo modello dello show «alla Letterman» che già tante vittime ha fatto nel passato. Insomma, non è un bello spettacolo nemmeno per chi non ha mai troppo amato i guru del politicamente corretto.
Tuttavia non c’è da esser sorpresi di come stia andando la faccenda. I primi interventi sull’avvento dei tecnici, molla di cambiamento anche della tv, risalgono all’autunno scorso. Persino alla prima puntata dello show di Fiorello, avvenuto «dopoilweekend» delle dimissioni di Berlusconi, e perciò ribattezzato «il comico delle larghe intese». E, in contemporanea, con l’affermarsi del nuovo linguaggio economico nei talk show. La nuova televisione sarebbe stata più fredda, impersonale, asettica. I programmi militanti ne avrebbero sofferto. La spinta propulsiva del tg di Mentana e di La7 si sarebbe ridimensionata. Tutto scritto e detto, anche da quel demonio di Carlo Freccero ora sul banco degli imputati per una crisi di nervi telefonica. Ma i dirigenti dei canali di tendenza hanno continuato per la loro strada, senza troppi ripensamenti. E hanno riempito le caselle del fine settimana con i campioncini della tv birignante, sicuri che il nome e i tanti libri venduti fossero garanzia di ascolti. Nel calcio si dice che, se si fanno le squadre con le figurine, si rischia di perdere dalle provinciali. In tv, invece, non si supera il tre per cento. Perché, un conto è essere veri direttori di rete ed essere in grado di leggere lo spirito del tempo; un altro conto è essere dei palinsestisti.
Ora ci si accorge che infarcire le serate di talk show con l’ambizione dell’impegno civile e degli ospiti colti è stato un errore. Dopo anni di accesa conflittualità politica e nel pieno di una crisi economica planeataria, forse non era così difficile prevedere che i telespettatori avrebbero vissuto una fase di riflusso, desiderosi di qualcosa di morbido e magari - scandalo - persino consolatorio. Così, mentre fino a un anno fa certa televisione aveva anticipato e accelerato i cambiamenti, ora quella stessa tv si trova in ritardo, sbandata, senza porti sicuri.
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