Tra i diversi linguaggi dell'arte la scultura è certamente quello che ha subito il più evidente processo di ibridizzazione. Nei decenni si è geneticamente modificata fino ad avvicinarsi, di volta in volta, al design, all'installazione e all'oggetto. Tutto questo per modernizzare le proprie forme. Se è difficilissimo oggi elaborare una scultura figurativa che non cada nel cliché e nell'anacronismo, alcuni giovani tentano la strada verso materiali in trasformazione, capaci di cambiare il proprio status nel momento del loro farsi. E la scena italiana presenta alcuni innovatori che stanno attirando l'attenzione della critica e del pubblico con opere curiose, molto viste nelle fiere proprio per la capacità di stupire attraverso escamotages di tipo quasi scientifico.
È il caso di Alessandro Brighetti e Donato Piccolo. Bolognese del 1978 il primo, romano del '76 l'altro, con studio a New York. Alla base delle opere di Brighetti ci sono la fisica e la chimica: sono costruzioni composte da magneti, meccanismi cinetici, oli, microparticelle di ferro. Fondamentale è il movimento, chiaro rimando all'arte degli anni '70: le forze generate da un campo magnetico agitano le particelle che increspano il liquido e lo plasmano tridimensionalmente.
Piccolo invece indaga i processi di trasformazione e gli stati in divenire della materia. Le sue strutture sono composte da metalli e vetro, e in tal senso hanno l'aspetto di strutture minimaliste, reinterpretando i principi cinetico-meccanici della fisica. All'interno l'acqua si muta dallo stato liquido a quello gassoso grazie a un sistema di nebulizzazione a ultrasuoni: l'acqua è convertita in vapore e dunque l'opera riflette sul concetto di invisibile, su ciò che esiste a prescindere dal visivo.
Entrambi sono rappresentati dalla Galleria Primo Marella di Milano e nel loro già nutrito curriculum ci sono diverse esperienze di lavoro all'estero, dove sono considerati tra le migliori espressioni dell'Italian New Wave.
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