Cultura e Spettacoli

Secoli di immagini. Così la nazione è diventata "madre" prima di essere Stato

Dall'"Ytalia" di Cimabue alla donna "turrita", un saggio racconta le icone del nostro Paese

Secoli di immagini. Così la nazione è diventata "madre" prima di essere Stato

Nel De natura deorum, Cicerone evoca rapidamente una dea Natio, che «nell'agro ardeatino» proteggeva «i parti delle matrone». E anche se questa divinità nulla avrebbe a che vedere con il concetto di «natio» che, nell'antica Roma, indicava una comunità alla quale si apparteneva per vincolo di sangue, a partire dal luogo in cui si era nati, è molto suggestivo pensare che la nazione sia così legata all'atto del parto fino a proteggerlo. La nazione come Grande Madre, nel senso di Bachofen: del resto tradirla è stato sempre considerato un delitto equivalente a quello dell'uccisione di chi ci ha messo al mondo. Sarà anche per questo che, da quando il concetto di nazione prende forma, nel basso Medioevo, fino alla sua idea moderna con la Rivoluzione francese, essa finisce sempre per essere raffigurata come una donna, giovane e pronta a figliare.

Se quindi il concetto di patria rimanda al maschio, quello di nazione volge verso la femmina. E se il primo configura una comunità politica, quello di nazione è un vincolo prepolitico, carnale, sentimentale ed inconscio, legato anche alla lingua che si parla (tanto è vero che si dice «lingua materna»). All'immagine della nazione come madre non poteva sfuggire l'Italia che, peraltro, al concetto ha fornito un contributo enorme fin dal Medioevo, con i suoi giuristi ma anche con i suoi poeti (pensiamo a Petrarca). Tutto questo percorso, dell'iconografia della nazione Italia, lo possiamo ora seguire leggendo il bel libro curato da Giovanni Belardelli (L'Italia immaginata. Iconografia di una nazione, Marsilio, pagg. 304, euro 22) composto da saggi di diversi specialisti che, dall'antichità fino ai nostri giorni, raccontano come si sia formata e come sia cambiata l'immagine dell'Italia. A corredo indispensabile, un repertorio fotografico, con immagini anche piuttosto rare, sì che basterebbe sfogliarlo per vedere una certa continuità iconografica tra il Medioevo e oggi.

Ytalia compare riportato su un affresco di Cimabue, databile intorno al 1280, nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi. Ritrae una città con chiesa a cupola, torre e campanili, un mercato; ecco qui già una parte della identità italiana, la dimensione mercantile, quella religiosa e quella municipale. Che poi resterà nei secoli: l'Italia come nazione sarà la fusione di tante piccole nazioni, a partire da quella del proprio comune - communitas. L'immagine della donna con le torri in testa, che poi diventerà classica, è però già presente secoli addietro, tra il IV e il V a ritrarre la «diocesi» di Italia. La donna, procace e turrita, continuerà fino alla invasione francese di fine XVIII secolo. I giacobini italiani volevano l'Italia unita ma sotto l'egida di Napoleone (erano già sostenitori del «vincolo esterno»!) e quindi tendevano a cancellare la tradizione precedente, in cui il cattolicesimo deteneva una parte fondamentale. Con la Restaurazione per fortuna ritorna l'immagine della donna turrita, a indicare appunto il de pluribus unum che è la cifra del nostro essere italiani nei secoli e che come tale entra nella iconografia del Regno fin dal 1861. Così appare in una magnifica cartolina della vittoria del 1918 di Leopoldo Metlicovitz: matrona turrita, con spada a fianco, a benedire due giovani figlie, Trento e Trieste. Fino a una vignetta di Giannelli in occasione del Terremoto dell'Aquila, l'Italia dolente e turrita che, a mo' di Pietà michelangiolesca, regge il corpo di Cristo.

Un volume godibilissimo anche per i non specialisti, pur mantenendo il carattere rigoroso della ricostruzione storica, quello curato da Belardelli che, nell'introduzione, smonta anche il pregiudizio di una certa storiografia degli ultimi decenni, secondo cui in Italia il sentimento nazionale sarebbe stato sempre debole, se non inesistente. Fragile se lo misuriamo con il metro del modello centralizzato francese e giacobino: in realtà è senso di appartenenza robusto se capiamo che il nostro essere italiani è legato a identità plurime che, dal quartiere salgono al borgo natio, da quello alla provincia e dalla provincia alla nazione vera e propria.

Una particolarità italiana che, nonostante gli sforzi secolari prodigati da un ceto politico-intellettuale «cosmopolitico» per estirparla, continua per fortuna a restare ben viva.

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