Se si guarda alle attuali vicende mediorientali, l'idea di un Novecento come secolo breve, avanzata da Eric Hobsbawm all'indomani della caduta del Muro di Berlino, si rivela tanto eurocentrica quanto bislacca. Come osserva Franco Cardini nel suo Lawrence d'Arabia (Sellerio, 261 pagine, 14 euro) «semmai stiamo vivendo un secolo al contrario lungo se non lunghissimo» e che si potrebbe addirittura far partire dalla seconda metà dell'Ottocento, quel 1869 che con il taglio dell'istmo di Suez segna una nuova tappa negli appetiti geopolitici del Vecchio continente. È del resto un dato di fatto, osserva ancora Cardini, che esattamente un secolo fa, con le paci di Parigi del 1919-20, il Medio-Oriente venne letteralmente inventato, innescando al suo interno, senza ben rendersene conto, una serie di bombe a orologeria, etniche, religiose, politiche, economiche, che da allora puntualmente hanno cominciato a esplodere e ancora non hanno smesso...
In quest'ottica la stessa figura del colonnello Lawrence, oggetto della biografia cardiniana, è la parabola di un Medio-Oriente come terra della guerra perenne e dei conflitti insanabili, nonché del depistaggio permanente, dove nulla è insomma come appare e tutti recitano una parte che non è la loro.
Uscito una decina d'anni fa come trascrizione di un ciclo di conferenze radiofoniche, il libro su Lawrence di Cardini viene ora pubblicato in una nuova edizione che ne fa un saggio completamente diverso, talmente ricco sotto il profilo storiografico da farne un punto di riferimento sulle questioni mediorientali, nonché sui rapporti politici e culturali Oriente-Occidente. Ma la biografia cardiniana è anche l'occasione per un'analisi del concetto di orientalismo applicato proprio al suo principale protagonista. Il giovane Lawrence studente del Jesus College e impegnato nella stesura di una tesi sull'influenza delle crociate sull'architettura europea della fine del XII secolo, non è infatti altro che il prodotto di una rilettura della terza crociata di Riccardo Cuor di Leone in cui la rivalità franco-britannica dell'epoca è vista alle luce delle suggestioni letterarie di Walter Scott, Ivanhoe, Il talismano, dove medievalismo e gusto neoclassico si incontrano appunto con la suggestione orientale e costituiscono un vero e proprio humus culturale ed esistenziale. Di suo Lawrence ci aggiunge una buona pratica «in campi disparati ma complementari fra loro -fotografia, scultura, raccolta di ceramiche, copiatura di iscrizioni-», applicata su un'area di competenze vastissima, alto corso dell'Eufrate e delta nilotico, che allo scoppio della Prima guerra mondiale lo trasformerà in «una sorta di carta topografica vivente per tutto il nord della Mesopotamia»...
Senza perdersi troppo in interpretazioni psicoanalitiche, Cardine dà del Lawrence arabo una lettura interessante quando lo definisce «uno strano, paradossale cultore dell'eccesso attraverso la rinunzia»; così come è penetrante quell'analisi della psicologia bellico-militare dei beduini sulla base di quanto accadeva nel Cinquecento delle guerre d'Italia, con i suoi principi in vendita al miglior offerente. «Lasciate stare, perché intanto sono tutti nemici» dirà uno degli Estensi a un suo artigliere che si scusava di aver colpito con un colpo di bombarda le linee alleate francesi e non quelle avversarie spagnole: «Gli arabi pensavano questo sia degli inglesi, sia dei turchi»...
Stranamente assente, nella pur ricchissima bibliografia su Lawrence di cui Cardini si serve, è la biografia mai terminata che gli dedicò André Malraux, Le Démon de l'absolu, caso curioso, quanto interessante di un mitomane francese che si rispecchiava in un suo omologo d'oltre Manica. L'elemento che Malraux colse al meglio fu proprio quello dell'eterna giovinezza di Lawrence, uomo che infatti cercò fino all'ultimo di sfuggire all'età adulta della vita come accettazione di sé. «La giovinezza non è assenza di maturità, ma l'immenso campo della vita di cui conosciamo la natura per la nostalgia che ci resta allorché scompare. Certi uomini ne hanno il genio. Disinteressamento, coraggio, romanticismo, i sentimenti ai quali Lawrence dové innanzitutto la sua leggenda, erano sentimenti da adolescente. Il suo dramma -nato dal conflitto fra etica e politica è il dramma dell'adolescenza; la sua tragedia -il confrontarsi con l'assoluto- è la tragedia dell'adolescenza; la sua liberazione, questo arruolamento sotto falso nome, il solo atto che avrebbe potuto compiere per continuare a vivere senza demeritare agli occhi degli adolescenti. Il fascino particolare che l'arte esercitava su di lui, la scelta di testi titanici con cui confrontarsi, la passione per la poesia, tutto ciò appartiene alla giovinezza. É questa particolare giovinezza che presso i grandi artisti sopravvive fino all'ultimo giorno. Non c'è grande arte senza una parte d'infanzia. E, forse, nemmeno un grande destino».
Una decina d'anni fa, la mostra Lawrence of d'Arabia. The Life, the Legend, allestita all'Imperial Museum di Londra, riportava nelle sue sale tre citazioni che ancora adesso aiutano a spiegare il perché di un interesse mai sopito. Le prime due recitavano: «Gli eserciti sono come piante, immobili, ben radicate, nutrite attraverso i lunghi gambi sino alla cima. La guerriglia è come un vapore». «La guerra contro l'insurrezione è lenta e inutile, come mangiare il brodo con il coltello». La terza, celebre, letta in un'ottica di contemporaneità, suona terribile nel ricordare come il potere della speranza e dell'immaginazione renda gli uomini pericolosi: «Tutti sogniamo, ma non allo stesso modo.
Quelli che sognano di notte nei polverosi nascondigli della mente, si svegliano al mattino per accorgersi che tutto era illusione. Ma i sognatori di giorno sono uomini pericolosi, perché lo fanno ad occhi aperti per trasformare il loro sogno in realtà».
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