Per la seconda volta il cast dell’opera decimato da malattie e defezioni

Per la seconda volta il cast dell’opera decimato da malattie e defezioni

Tutti conoscono l’attività di Mario Cavaradossi, il protagonista maschile della Tosca di Puccini: è un pittore, amante della cantante Floria Tosca e della Libertà. Rischia il collo per salvare un liberale fuggito da Castel Sant Angelo, vigilato dalla polizia papalina sotto l’egida della regina Maria Carolina. Quando decide di salvare Angelotti, questo il nome dello sventurato compagno, il compito è così arduo che Puccini piazza al centro della sua promessa, «La vita mi costasse, vi salverò», un «si» naturale ardito e scoperto. E spesso i tenori su quel «si» hanno lasciato le penne, decidendosi in quel punto l’esito della serata.
Tutto il contrario di quanto è accaduto alla Scala nella ripresa della non certo indimenticabile, e pertanto riproposta, Tosca firmata dal regista Luc Bondy. In quel punto il tenore Roberto De Caro sembrava già giunto sul passo estremo, raschiando il fondo di quanto aveva in gola dopo il consistente duetto d’amore con Tosca. Di più. L’unico ad essere applaudito nelle uscite singole finali è stato proprio il tenore, la cui prova era quella più censurabile. Possibile che il temuto loggione scaligero avesse perso la testa riversando fischi sulla soprano incolpevole, Martina Serafin, sul baritono George Gagnidze, e sul direttore d’orchestra Nicola Luisotti e non sul tenore? La spiegazione sta nell’annuncio, letto dal Sovrintendente Lissner prima dello spettacolo. Per un repentino attacco di asma (speriamo improvviso quanto singolo, altrimenti non compatibile con la carriera di cantante) il designato Cavaradossi, Marcelo Alvarez, non poteva cantare. Stesso destino infausto colpiva il vice, Aleksandr Antonenko, colpito da un virus. Una pandemia-Tosca puntuale come l’anno scorso quando l’astro Kauffman e la sua «copertura» Marco Berti, vennero colpiti da fiero morbo come il reparto femminile, decimato per cause virali (Dika) e puerperali (Serafin). Alla Direzione non rimaneva che ringraziare De Caro per il salvataggio «senza preavviso» dello spettacolo. E il pubblico, platea e loggione concordi, ha reso l’onore delle armi al coraggio del giovanotto.
Però c’è chi ha pagato il conto. Le fughe e le rinunce di questi anni hanno fatto del palco della Scala una Spoon River della chiave di tenore. Si dirà: capita nelle migliori famiglie. Il problema è quello di trattare lo svillaneggiato (da alcuni) repertorio italiano con la mano sinistra, lasciando la più esperta destra a titoli di malinteso respiro europeo. Come se Puccini non lo fosse. Invece lo è. «La musica è come la Bibbia. Senza un’osservanza minuziosa dei dettagli, non si dà interpretazione musicale». Così la pensava Gustav Mahler.

Questa è una lezione che tutti dovrebbero tenere presente, a patto di rispettare il teatro musicale italiano che è molto difficile. Aggiungere che l’ascolto della Tosca è stato una sofferenza, è pleonastico. E si trattava di Tosca, opera che nei grandi teatri deve essere eseguita come si deve.

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