Cultura e Spettacoli

Sempre lo stesso film. Finanziamenti solo ai soliti registi famosi

Soldi pubblici per tutti, tranne a chi ne avrebbe bisogno. Sì a Olmi, Ozpetek, Garrone, Taviani. Gli emergenti? Nulla

Sempre lo stesso film. Finanziamenti solo ai soliti registi famosi

C'è tutto il cinema più importante e istituzionale nelle delibere di finanziamento del Ministero dei beni e delle attività culturali, e ora anche del turismo, appena rese note dalla Direzione generale per il Cinema. Ci sono i nostri più grandi e indiscutibili registi: Ermanno Olmi che per 14-18 Cumm'è bella 'a montagna stanotte arriva primo nella classifica dettata dai complessi meccanismi del reference system e prende il contributo di 800mila euro, proprio come Paolo e Vittorio Taviani per il loro Meraviglioso Boccaccio, va ancora meglio con la cifra tonda di un milione a Matteo Garrone alle prese con Il racconto dei racconti ispirato da Giambattista Basile, Marco Bellocchio riceve 400mila euro per La prigione di Bobbio e Saverio Costanzo 250mila per Hungry Hearts. Ci sono poi Michele Placido che per La scelta ne ottiene 400mila, Francesca Archibugi 500mila per Il nome del figlio, Cristina Comencini 400mila per Latin lover e Carlo Verdone 300mila per Sotto a una buona stella con la strana postilla - excusatio non petita - «finalizzato a distribuzione». Come a dire: diamo una mano alla Filmauro di Aurelio De Laurentiis per portare nelle sale il film di uno degli attori e registi più amati dal pubblico. E qui iniziano i dolori. Perché, se deve esistere un sostegno statale al settore cinematografico, quando si leggono d'emblée queste liste non si può fare a meno di chiedersi, ad esempio, se c'era proprio bisogno di dare 350mila euro ad Abel Ferrara per Pasolini che ha come attore la star Willem Dafoe. Speriamo almeno che mantenga la promessa: «Farò il nome di chi lo ha assassinato». In realtà quello che abbiamo davanti è un sistema di finanziamenti statali trasparente che però, anche per i suoi diabolici automatismi, premia chi è già premiato, non aiuta, se non in maniera residuale, nuovi autori e violenta anche la lingua italiana attribuendo la qualifica di «interesse culturale» a tutti e a tutto. Perché se non chiedi una sovvenzione è quasi automatico che ti diano questo bollino foriero di sgravi fiscali in fase di distribuzione. È successo nella sezione opere prime a Diego Bianchi, alias Zoro nel televisivo Gazebo, per il suo Arance e martello, e all'esordiente - incredibile ma vero - Walter Veltroni che si dà alla regia con Quando c'era Berlinguer (in realtà pare che in un primo momento - per un errore di compilazione della domanda - fosse stato chiesto anche il contributo economico). Così, se Margherita di Nanni Moretti - anche al più critico - appare appropriato come film di «interesse culturale», qualche dubbio semantico - detto con tutto il rispetto per i film - viene per progetti come Sapore di te di Carlo Vanzina, Un matrimonio da favola di Enrico Vanzina, Un boss in salotto di Luca Miniero, Indovina chi viene a Natale? di Fausto Brizzi, Tutta colpa di Freud di Paolo Genovese, Soap opera di Alessandro Genovesi, ...E fuori nevica di Vincenzo Salemme. L'ironia della sorte vuole che automaticamente ai film d'interesse culturale venga poi attribuita anche la qualifica «d'essai», termine che secondo la Treccani sta per «produzione e rappresentazione di film di notevole valore artistico e culturale». E qui siamo al comico che è peraltro il genere a cui questi film appartengono. Almeno c'è un po' di coerenza. Sfugge poi la ratio di alcuni contributi oversize come quello di 900mila Ferzan Ozpetek per Allacciate le cinture quando poi vengono tenuti fuori autori interessanti come Davide Marengo, Alessandro Piva, Davide Barletti e Lorenzo Conte, Angelo Orlando. L'eccezione che conferma la regola sono i 100mila euro per 87 ore alla talentuosa Costanza Quatriglio. Tecnicamente i contributi vengono dati anche in rapporto al costo stimato del film, per questo Renzo Martinelli è stato rinviato più volte dalla commissione per la richiesta troppo alta di contributo prima di ottenere 350mila euro per The Missing Paper, però la verità è che a fronte di risorse economiche sempre meno significative il Ministero ha scelto di dare più soldi a un numero ristretto di grossi progetti che andranno sicuramente in porto. Così facendo nessuno rischia quasi più niente, lo Stato e i produttori.

E, soprattutto, nessuno aiuta i più fragili - finanziariamente - a emergere. È questa la strada giusta?

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