
Salvatore Sciarrino, 70 anni, uno dei massimi esponenti della musica contemporanea nel mondo, con un catalogo sterminato tra opere, sinfonie, musica da camera e vocale: il festival «Milano Musica» quest'anno, il 26esimo, gli dedica la programmazione, «L'eco delle voci» (dal 21 ottobre al 3 dicembre). Ci saranno una mostra sul suo grafismo, diverse prime e Ti vedo, ti sento, mi perdo, nuova opera che verrà data al Teatro alla Scala.
Sciarrino, lei ha segnato la storia della musica italiana, a che punto è del suo percorso?
«Alcuni dei miei pezzi sono tra i più silenziosi che siano mai stati scritti, uno a livello fonico arriva agli orologi elettrici delle cucine. Questa musica costringe ad ascoltare in maniera diversa. Gli anni più recenti invece per me costituiscono una svolta, con una netta focalizzazione sulla vocalità».
Lei ha inventato un vocabolario musicale, di che cosa si tratta?
«Non è che ho inventato tutto, ho un mio modo di rappresentare. Nella musica non faccio distinzione tra moderno e antico. Ecco perché alcuni pezzi di Stradella, nella mia nuova opera, vengono presentati in modo tale che vien da dire toh guarda, questo sembra Chopin. E invece...».
La musica d'arte di oggi è ancora minoritaria. Una volta era diverso...
«Non so se poi era così. Chopin componeva ma per pochi. Liszt a un certo punto vuole interrompere la carriera perché la trova senza senso, avendo un'idea più alta di quello che era il suo impegno concertistico. L'individuo conta di più della massa, è un rompighiaccio».
I suoi lavori vengono presentati come dialoghi con autori come Monteverdi e Bartok: c'è chi dice che la svolta non c'è o è debole perché siamo schiacciati dal passato...
«Solo una scusa di chi non trova la sua strada. È chiaro che ci possono essere momenti di infiacchimento della produzione, e quando si manifesta il nuovo a volte possiamo essere i primi a non riconoscerlo. Stradella per esempio anticipa Haendel, Mozart e Chopin, eppure è stato cancellato».
Lei è noto per le sue idee sul silenzio (non come Cage), mette al centro l'ascoltatore, ma le avanguardie non sempre lo hanno fatto, forse. La sua è una voce fuori dal coro?
«John Cage scopre il mondo orientale, lo trapianta nel pensiero americano, una cosa straordinaria. Però non ha costruito, dopo aver buttato giù. Io ero considerato un eretico, affermavo altre cose rispetto a Boulez. Hanno cercato di correggermi».
Le sue fonti ispirative?
«Molte. Ci sono pezzi che fanno sentire gli annunci delle stazioni o la radio, anche cose più oniriche. La forza maggiore della mia musica è la capacità di mettere al centro una dimensione fisiologica, psicologica, poi cambiarla con una discontinuità spazio-temporale».
I giovani e il loro modo di esprimersi legato alle tecnologie...
«La tecnica influenza molto, il problema è che le tecnologie ci devono servire, non possiamo noi essere i servi. Ho scritto un'opera coi computer senza orchestra in buca, in questa direzione poco altro».
Si ha l'impressione che la musica colta venga spesso «presa con le pinze». Che cosa ne pensa?
«Viene presa con le pinze tutta la musica, per cui si fanno dei programmi standard. Gli organizzatori hanno paura del pubblico invece di amarlo, il pubblico invece ha bisogno qualche volta di essere scioccato, quindi di protestare; ma la seconda volta magari capisce meglio di un organizzatore».
Ora su quale nuovo progetto sta lavorando?
«Un diagramma incompiuto dell'85, un lavoro per quattro pianoforti in cui viene molto sfruttata l'idea di spazialità. Altra cosa un Oratorio su San Miniato, una richiesta venuta per il millenario dell'abbazia».
Musica, politica e politici in Italia...cosa vede?
«Non possiamo sempre accusare i politici, fanno parte di noi; non funzionano perché la nostra società non funziona. Fanno finta che la cultura e la scuola non esistano. Avendo insegnato più volte nelle università Usa mi sono reso conto che lì non è mai stato tagliato un centesimo».
Per chiudere quali sono i suoi rapporti con gli altri linguaggi, per esempio il minimalismo...
«Un mondo che vive sul confine del commerciale. Reich però è diverso. C'è un'attenzione a una piacevolezza che non deve essere un problema.
Quando Mozart ti trafigge il cuore lo fa nel punto giusto, non alla prima nota. C'è una strategia formale, musicale, psicologica. E questo nel minimalismo viene annullato. Diciamo che a volte ci si avvicina alla musica da sauna. Questo c'è sempre stato e sempre ci sarà».