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Sinead O' Connor insulta i "bianchi non musulmani": è polemica

Sinead O'Connor ha lanciato su Twitter degli strali contro i bianchi non musulmani: gli utenti di fede islamica, però, l'hanno criticata aspramente

Sinead O' Connor insulta i "bianchi non musulmani": è polemica

Una tempesta di critiche social è piovuta sulla cantante Sinead O’Connor.

Come spiega il Daily Mail, la cantante ha scritto su Twitter un messaggio al vetriolo contro i "bianchi non musulmani”: una dichiarazione che arriva dopo poco tempo dalla sua conversione all’Islam, per la quale ha cambiato il nome in Shuhada Davitt. E non si sono fatte attendere le perplessità non solo dei caucasici appartenenti ad altre religioni - chiamati in causa in prima persona - ma degli islamici stessi.

Sono tremendamente dispiaciuta - ha scritto O’Connor - Quello che sto per dire è qualcosa di così razzista che non avrei mai pensato che la mia anima potesse sentirlo. Ma davvero non voglio trascorrere ancora tempo con persone bianche (se è così che si chiamano i non musulmani). Non per il momento, per nessuna ragione. Sono disgustosi”.

Mentre qualcuno ha fatto notare alla cantante come lei stessa abbia la pelle bianca, sono stati i musulmani che l’hanno bacchettata con più forza. Qualcuno le ha ribattuto che l’Islam non odia o ama le persone sulla base del colore della loro pelle, poiché “Allah è misericordioso” e Maometto ha insegnato la bontà verso tutti. Altri hanno parlato di imbarazzo per l’Islam, perché questa religione non le consente di essere razzista e generalizzare. In tanti hanno lanciato l’hashtag #notintheirname, cioè “non nel loro nome”. O’Connor si è giustificata dicendo che a volte c'è bisogno di qualcuno che faccia il lavoro sporco.

Alla fine di ottobre, la cantante aveva annunciato attraverso i propri canali social di essersi convertita e di indossare l’hijab - che le è stato regalato da un’amica.

Negli anni ’90, l’artista era stata consacrata sacerdote da un movimento tradizionalista cattolico: secondo quando ha affermato, l’Islam è la conclusione del suo viaggio teologico, perché è lì che porta lo studio delle Scritture.

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