Cultura e Spettacoli

Singer e quel grande romanzo scritto "con la mano sinistra"

Una storia di travolgente passione tra Varsavia e New York Che risale alla pratica mistica di purificazione nel peccato

Singer e quel grande romanzo scritto "con la mano sinistra"

Lo si legge tutto d'un fiato il nuovo romanzo di I.B. Singer. Da tempo non ero travolto da tale potenza narrativa. Attualmente gli scrittori europei si muovono in una esperienza letteraria debole, anemica. Si è persa l'energia epica - per restare nella letteratura mitteleuropea - di Joseph Roth, Hermann Hesse, Jaroslav Haek o Aantal Szerb. La ritroviamo intatta in questo straordinario romanzo di Singer (1904-1991), che venne pubblicato a puntate sul quotidiano yiddish newyorkese Forverts proprio alla vigilia dell'assegnazione del Nobel a Singer nel 1978 e questo fu il motivo che consigliò all'autore di non rivederlo e non pubblicarlo, in inglese. La pubblicazione a puntate, allora ancora molto in voga (come per i principali romanzi di Roth), già sperimentata per altri romanzi e racconti da Singer, incide fortemente nella struttura del romanzo con segmenti omogenei, sempre giocati su una sottile tensione narrativa, che si rinnova continuamente, puntata per puntata.

In seguito, uscì in ebraico e solo recentemente in inglese e ora da Adelphi, accuratamente edito da Elisabetta Zevi, splendidamente tradotto da Marina Morpurgo col titolo Keyla la rossa (pagg. 280, euro 20). Perché questa ritrosia a pubblicarlo? Perché il romanzo è a dir poco scandaloso: è la storia dei bassifondi ebraici di Varsavia e poi di New York e soprattutto è la storia di un amore impossibile tra un pio intellettuale ebreo in crisi e una puttana, un amour fou, travolgente, volgare, morboso, meraviglioso, romantico, sensuale, peccaminoso. Siamo ancora all'interno di un ebraismo pervadente tutto l'individuo, come annotò Kafka nei suoi quaderni in ottavo: «L'amore sensuale riesce a farci dimenticare quello celeste. Da solo non potrebbe farlo, ma poiché ha inconsciamente in sé l'elemento dell'amor celeste, ci riesce».

L'amore che travolge i due amanti è la potenza primordiale che disintegra e sublima, li sprofonda negli inferni ardenti del desiderio e insieme li purifica, li assolve. Forse il corpo e l'anima - osserva Bunem, il protagonista - sono la stessa cosa. Se Spinoza e i cabalisti avevano ragione quando dicevano che tutto ciò che esiste è parte di Dio, carne della Sua carne e spirito del Suo spirito, allora l'abiezione non poteva esistere. Un filo rosso lega questa storia a quelle raccontate da Joseph Roth - ad esempio Giobbe, che pure si svolge metà nello shtetl ebraico-orientale e metà a New York -, ma anche a quelle di Saul Bellow e di Philip Roth. Allora il sesso, nella sua demonica onnipotenza, assume una valenza ambivalente di perdizione, di smarrimento e di redenzione. Si potrebbe risalire a quelle esperienze mistiche al margine dell'ebraismo tradizionale che predicavano la via «della mano sinistra», la via del peccato per umiliarsi nel peccato, liberandosi dall'orgoglio luciferino, e per andare così purificati incontro all'Eterno. Questo cospicuo spessore metafisico è il giacimento invisibile eppur presente nell'ebraismo orientale. Il romanzo (per altro scritto tra la fine del 1976 e il 7 ottobre 1977, quando l'autore aveva 73 anni) è sostenuto da un'eccezionale capacità evocativa del misero quartiere ebraico di via Krochmalna con quell'affresco stupefacente di delinquenti, ladri, assassini, puttane e sfruttatori e insieme di santi hassidim e pii rabbini, un verminaio e insieme un'anticipazione del paradiso. Un intrigante scenario che ben conosciamo dai precedenti romanzi di Singer.

New York appare, invece, una sorta di non luogo, dove tutto suona falso, inautentico, dove la goldene medine, il sogno yiddish della città utopica, si rivela una menzogna, da cui fuggire almeno per seppellire le proprie ossa nella terra santa del cimitero ebraico di Varsavia o almeno accanto a esso, poiché le puttane non vi vengono accolte, ma possono essere sepolte ai suoi benedetti confini. E inoltre incontriamo un finale a sorpresa di estrema poeticità e apertura, con il protagonista che si avvia verso l'oceano. Forse per suicidarsi, forse per ritrovarsi, forse per una nuova vita, forse per una passeggiata. In questo il tradizionalissimo narratore Singer si avvicina alla sensibilità della letteratura contemporanea, a quell'opera aperta teorizzata da Umberto Eco.

Per un singolare gioco del destino il romanzo esce giusto dopo 40 anni in un mondo completamente cambiato, dove il dramma dell'emigrazione, con le sue speranze, attese, delusioni, tragedie è tornato a essere un tema quotidiano. Certo, quell'esodo veramente biblico dall'Europa di irlandesi, tedeschi, italiani, ebrei orientali verso l'America, la nuova terra promessa, è tutt'altra cosa dall'attuale realtà.

Allora erano gli europei che migravano; ora è l'Europa a essere «Lamerica», ma incontriamo un medesimo disorientamento, sradicamento e perdita di identità che ci aiuta a comprendere le tragedie dell'emigrazione di ieri e di oggi.

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