Cultura e Spettacoli

"Sono un padre operaio che deve scegliere tra la figlia e il lavoro"

L'attore è protagonista con Sabrina Ferilli di "Svegliati amore mio", da oggi su Canale 5

"Sono un padre operaio che deve scegliere tra la figlia e il lavoro"

Che cos'è un uomo senza il lavoro? Come si può scegliere tra stipendio e salute della propria figlia? Domande impossibili che Ettore Bassi è costretto a porsi nella nuova serie in tre puntate Svegliati amore mio, in onda da stasera su Canale 5, regia di Simona Izzo e Ricky Tognazzi, produzione Fabula Pictures. È una fiction, ma anche una denuncia contro i predatori dell'ambiente, contro i veleni sganciati da imprenditori senza scrupoli che pur di guadagnare mettono a repentaglio la vita delle persone. Protagonista è una mamma leonessa, Nanà, interpretata da Sabrina Ferilli, che quando scopre che la figlia dodicenne è malata di leucemia, ingaggia una lotta dura e controversa con l'acciaieria responsabile della diffusione dei veleni. Controversa perché il marito Sergio, interpretato da Bassi, lavora in quella fabbrica e, inizialmente, non riesce ad accettare l'idea di abbandonare il suo posto.

Ettore, la trama fa subito pensare all'Ilva di Taranto, anche se è ambientata in una generica città del Sud. Si è sentito più coinvolto nel progetto in quanto pugliese (di Bari)?

«Certamente quello dell'Ilva è un problema enorme. E se la serie serve a riportare l'attenzione su Taranto sono contento. Nella fiction però non si punta il dito verso un'azienda specifica, ma su tutte quelle che ancora inquinano e provocano disagi e malattie».

Come ha affrontato il dilemma del suo personaggio, Sergio, che deve scegliere tra il diritto alla salute e quello al lavoro?

«Non vorrei mai trovarmi personalmente in una situazione così complessa. Sarebbe difficile riuscire a capire quale sia la direzione giusta anche di fronte all'ipotesi che siano la diossina e le polveri sottili a provocare la leucemia. Per cui su questo aspetto del mio ruolo mi sono concentrato in maniera particolare. Sergio deve anche affrontare le tensioni con la moglie (Nanà/Ferilli) che vuole combattere contro i proprietari dell'azienda in cui lui fa l'operaio da vent'anni».

In tempo di pandemia molti devono scegliere tra vita e lavoro, non solo chi vive accanto alle industrie inquinanti...

«Purtroppo ci troviamo in un momento terribile. La differenza è che nei casi come quelli raccontati dalla fiction la scelta è personale, nel lockdown siamo costretti a subire le decisioni prese da altri».

Anche recitare, per chi ha la fortuna di poterlo fare, è rischioso: si deve optare tra la possibilità di venire contagiato o di restare a casa.

«Aprire un set è complicatissimo. Nelle vesti di un produttore mi sentirei molto angosciato, basta un positivo per fermare tutto, magari dopo aver fatto grossi investimenti. Per definizione su un set si è in promiscuità, si lavora a contatto, solo in tamponi si spendono tantissimi soldi. Noi abbiamo girato in autunno, nel pieno della seconda ondata, ovviamente seguendo scrupolosamente le regole sanitarie».

Lei è padre di una bambina down di 7 anni, Amelia. La sua esperienza l'ha aiutata a interpretare il ruolo di genitore di una bambina malata?

«I fatti della vita certamente ti costringono a sviluppare una sensibilità diversa, e penso che questo mi aiuti anche a interpretare il ruolo di padre in modo più profondo. Comunque per me mia figlia non è malata, vive una condizione che mi sembra quasi normale, non noto le differenze con gli altri bambini, anzi noto cose in più rispetto agli altri».

Lei ha tre figlie e ha affrontato una difficile separazione, che è diventata pubblica e raccontata in tv. La situazione si è rasserenata?

«Le separazioni sono sempre dolorose, io faccio tutto quello che posso per il bene delle mie figlie. Viaggio tra Milano, dove vivono loro e Bari, dove vive la mia nuova compagna e i luoghi di lavoro. Il Covid, comunque, ha diminuito i miei impegni e questo mi consente di vederle di più, anche se è sempre molto complicato».

Come vivono le sue figlie (le più grandi, Caterina e Olivia, hanno 19 e 16 anni) le scuole chiuse, la vita da recluse?

«Ne soffrono tantissimo, non ne possono più. È un'ingiustizia e una violenza, è stata loro rubata la giovinezza. Una vita inaccettabile, come essere in guerra. Un disagio enorme per le famiglie. Amelia è in prima elementare, per la sua situazione potrebbe andare a scuola in presenza, ma per una serie di disguidi adesso anche lei è a casa, seguita da un'insegnante di sostegno».

A proposito di set, ce ne sono altri in vista?

«Per ora no, purtroppo è tutto fermo. Non appena riaprono i teatri vogliono riportare in tournée L'attimo fuggente, versione in prosa del film, a cui tengo tantissimo.

Non vedo l'ora».

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