Cultura e Spettacoli

«Sono un vero outsider ma amo la vostra Mina»

nostro inviato a Sanremo

Antony Hegarty è tutto e, specialmente, il suo contrario. È un cantante solista che però è conosciuto con il nome di una band, Antony & The Johnsons. Fa di tutto per piacere a pochi eppure chiunque lo ascolti rimane affascinato dalla sua voce. È nato in un paesetto del Sussex inglese ma vive a New York. È un controtenore però ha un vibrato baritonale. È una ex drag queen transgender, il suo primo brano descriveva un rapporto sadomaso omosex però ieri sera era nel tinello di qualche milione di italiani cantando al Festival di Sanremo. Dunque, televisivamente parlando, è la sublimazione del fazionalpopolare.
«Sono un outsider» dice sempre. E pazienza se molti telespettatori ieri sera, quando lo hanno visto seduto al pianoforte mentre cantava You were my sister si saranno chiesti: e questo chi è? Presto detto: un tesoretto della musica leggera mondiale. In Italia l'ha «scoperto» Battiato, che se lo è pure portato qualche tempo a casa sua: «Franco è il mio migliore amico italiano. Però mi piace da matti anche Mina» dice lui, che ha pure duettato con Elisa nel brano Forgiveness dal disco Heart del 1999. Insomma, parliamoci chiaro: Antony Hegarty, che ha 42 anni, a 10 faceva parte del coro di una scuola cattolica e a 19 si esibiva come drag queen in guepiere e cranio rasato al Pyramid di New York, è un mistero che affascina, che suscita discussioni, che è in poche parole un caso unico al mondo più o meno come il suo grande sponsor: Lou Reed. Nel 2001 il caposcuola della stranezza newyorchese ascolta qualche brano e poi lo invita a cantare nel proprio disco The Raven. Boom.
Da allora è impossibile non sentir nominare Antony Hegarty nelle interviste che contano della gente che conta. Super chic. Il suo secondo album I am a bird now (del 2005) ha ricevuto recensioni così esaltanti che a chiunque sarebbe venuta voglia di comprarlo solo per testare quanto fossero sincere. Lo erano. Da allora apriti cielo. Antony, che è alto e imprevedibile anche nei lineamenti, ha collaborato con un elenco di artisti lungo da qui a lì. A caso: Bjork per l'album Volta, Marc Almond, Boy George eccetera eccetera. E il merito non è solo della sua voce fuori asse rispetto alle consuetudini. È proprio merito della sua caotica creatività e della stratificazione intellettuale - termini che lui odierebbe anche solo pronunciare - applicata alla musica popolare.
E poi, quando parla, bisogna pedinarlo altrimenti fa perdere le sue tracce. Ad esempio: «In quanto transgender io concentro in modo particolare la mia attenzione sulla possibilità di riottenere quanto di più prezioso e primigenio ci sia nella mia anima». Capito? Però, oltre a questa leziosità espressiva, lui ha, come si dice, il quid. E un tocco interpretativo che anche ieri sera, in una serata di mezzo del Festival di Sanremo, ha lasciato molti spettatori a bocca aperta. Da oggi Antony Hegarty diventerà una star anche qui da noi. Una star come piacerebbe a lui: conosciuto da tantissimi.

Ma afferrato e compreso da pochi.

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