Il film di Daniele Ciprì attualmente nelle sale e presentato alla sessantanovesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, è un piccolo gioiello, uno dei migliori film italiani dell’anno. “E’ stato il figlio”, tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Alajmo, dipinge con un realismo grottesco la miseria umana e materiale di certe realtà degradate di periferia nelle quali per ostentare prosperità si farebbe di tutto.
Il film ha inizio in un ufficio postale. E’ qui che Busu (Alfredo Castro), un signore trasandato, trascorre le sue giornate raccontando storie a chi aspetta il proprio turno; è il suo modo di uccidere la solitudine. Tra tanti piccoli racconti eccolo alle prese stavolta con quello per lui più importante: la storia della famiglia Ciraulo e di cosa avvenne ai suoi componenti. I Ciraulo, negli anni 80, vivono nel quartiere Zen di Palermo e si sostengono grazie al capofamiglia, Nicola (Toni Servillo), che si arrangia a recuperare ferri vecchi dalle navi in disuso abbandonate nella zona portuale. Una disgrazia per mafia, ossia l’uccisione accidentale della figlia più piccola, porta un insperato quanto illusorio benessere economico attraverso un risarcimento dallo Stato. Ma come il sangue ha portato denaro, così il denaro porterà nuovo sangue.
La pellicola descrive con efficacia la disperazione che si cela dietro la finta ricchezza cui si immolano certe esistenze. La realtà quotidiana di quest’ umanità abbrutita, inconsapevole e moralmente fatiscente, viene ritratta dal regista attraverso una sorta di lente deformante che ne amplifica l’abominio in modo ad un tempo drammatico e farsesco. Ciprì, da maestro della fotografia qual è, fa un cinema che affascina grazie alla forza delle immagini; da un lato filma con freddo realismo i palazzi e il cemento del quartiere popolare, dall’altro richiama il teatro dell’assurdo indugiando su volti bizzarri, innaturali, a volte mostruosi nelle espressioni.
Il microcosmo familiare dei Ciraulo è un covo di personaggi avidi, pronti a monetizzare una disgrazia con la stessa foga che alcuni hanno alle prese con un “gratta e vinci”. Si mette alla berlina un’umanità che volge al disumano e lo si fa in maniera visionaria, secondo paradigmi estetici stravaganti come il gusto per la caricatura. Gli attori appaiono tutti in stato di grazia e rendono i perversi meccanismi familiari ritratti davvero credibili. Qua e là si sente l’eco delle disgrazie e dell’attaccamento alla “roba” de “I Malavoglia” del Verga.
E’ stato bravo Ciprì ad amalgamare l’impensabile; mescolando grottesco, melodramma e realismo; mettendo amore ed estro perfino nella ricerca formale; fotografando con uno stile tutto suo luoghi terribili e miseria esistenziale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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