nostro inviato a Venezia
Sabina Guzzanti avrebbe voluto che La trattativa partecipasse al concorso della Mostra di Venezia. Ma purtroppo al Lido non si tiene una Mostra Internazionale di Politica Cinematografica e nel suo volenteroso film l'Arte latita. Per un pamphlet d'immagini e didascalie nello stile del Fatto Quotidiano , con l'aggiunta di qualche trovata narrativa, il «fuori concorso» è una collocazione addirittura prestigiosa. Ma difficilmente la regista sceneggiatrice attrice imparerà che se fa l'imitatrice, la comica e la documentarista militante, utilizzando i temi del post-santorismo (nemmeno Santoro cavalca più certi personaggi) e del grillismo più estremo, difficilmente le si potrà rilasciare la card di artista e cineasta. Pur tuttavia, lei non teme attacchi né polemiche perché il suo film «è piuttosto inattaccabile, per i contenuti straverificati e i fatti realmente accaduti di cui parla».
Per realizzarlo, Sabina è partita armata delle migliori intenzioni. «Mi sono chiesta come sarebbe l'Italia di oggi se quella trattativa non ci fosse stata...», ha spiegato ai giornalisti in gran parte plaudenti. Ma come si vede nel film, sul finale non ce l'ha più fatta. E la freddezza da documentarista, già zoppicante, ha ceduto al rigurgito ideologico. Così, sebbene la famosa agenda rossa di Paolo Borsellino non sia mai stata ritrovata come aveva appena spiegato, a un certo punto, sorretta da una robusta flebo d'«immaginazione artistica», non di altri additivi, ha preso a fantasticare su quali note potesse contenere. E cioè che tutte le magagne e le nefandezze del presente, dallo scandalo del Monte dei Paschi alle morti causate dall'Ilva di Taranto alla spazzatura di Napoli vengono da lì. Dall'alleanza Stato-mafia e dalla contiguità tra Forza Italia e Cosa nostra. Tutto è connesso e intrecciato in un'unica, gigantesca sciagura, narrata attraverso le deposizioni dei pentiti Gaspare Mutolo, Gaspare Spatuzza e Luigi Ilardo. E i responsabili ultimi, Napolitano e Berlusconi affiancati alla cerimonia del 2 giugno, sono ancora lì, al potere. E noi cittadini viviamo succubi di istituzioni che «per il nostro bene preferiscono scegliere vie diverse dalla democrazia». Se l'esito del processo in corso smentisse la sua tesi, non demorderebbe. «In Italia siamo abituati a fare processi su fatti reali senza che siano trovati i colpevoli. Un politico assolto non è innocente, significa solo che non sono state trovate le prove».
Pur non essendo smentibile nemmeno dai processi, la tesi claudica anche nella pellicola perché La trattativa è due film in uno. Fino a un certo punto si parla di trattativa fra Stato e mafia (bombe di Capaci e di via D'Amelio, ruolo di Scalfaro, mediazione del colonnello Mario Mori, contatti tra Mancino e Napolitano, papello e contropapello di Massimo Ciancimino). Poi, d'improvviso, spunta la storia con Berlusconi, Forza Italia, Mangano e Dell'Utri nella quale le novità scarseggiano. «Siamo un gruppo di lavoratori dello spettacolo», dice Guzzanti all'inizio presentando i colleghi Enzo Lombardo, Ninni Bruschetta, Filippo Luna (Spatuzza, il pm del processo Dell'Utri e Massimo Ciancimino) intenti ad assistere a loro volta a notiziari, processi e deposizioni di pentiti. Così si passa dall'inchiesta alla finzione. E all'invenzione.
«È un meccanismo che consente libertà creativa, umorismo, anche qualche ragionamento», ha spiegato l'autrice ai giornalisti citando Elio Petri e Brecht, nientemeno. «Ci sono cose che si raccontano meglio col documentario, altre con la finzione. Se non li avessi usati entrambi non sarebbe venuto così bello», ha concluso. Sembrava convinta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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