Gli U2 ripartono dalle origini nel nome di "Joshua Tree"

Quello di Vancouver è stato un concerto quasi perfetto Ma con poche sorprese e tutto pensato per i vecchi fan

Gli U2 ripartono dalle origini nel nome di "Joshua Tree"

dal nostro inviato a Vancouver

Poi se ne vanno e tornano sul palco più grande. Et voilà. Tutto il nuovo concerto degli U2 è un andirivieni tra passato (grandioso), presente (speranzoso) e futuro (pauroso). Un'altalena di stati d'animo. Lo stadio Bc Place è pieno zeppo di 40mila educatissimi tifosi quando la band inaugura il tour mondiale per i 30 anni del suo disco fondamentale, The Joshua Tree, uscito nel marzo 1987 mentre alla Casa Bianca c'era Reagan e nella casa del rock c'era un po' di confusione (il 2 giugno uscirà The Joshua Tree - 30 years con tanti contenuti inediti e il live del concerto del 1987 al Madison Square Garden). Gli U2 riassettarono tutto per bene, riscoprendo un nuovo matrimonio tra blues, country e gospel e quindi obbligando tante altre band a seguirli perché With or without you o Where the streets have no name diventarono il vademecum del buon rockettaro. Da allora sono la band obbligata a sorprendere sempre, con i brani, con gli show, con tutto.

Stavolta ci sono riusciti soltanto a metà. Hanno lavorato per sottrazione: il palco non è più kolossal, anzi, ma si è sdoppiato. C'è quello grande, molto sottile, che serve più che altro come base di un megaschermo ondulato (difficile vederne di così grandi) che diventa il protagonista visual dello show. E c'è un palco più piccolo, collegato all'altro con una passerella che arriva in mezzo alla platea. Qui, dopo il concerto volatile di Mumford & Sons, arriva a bruciapelo Larry Mullen, quatto quatto a luci accese, senza fanfare o annunci. Si siede alla batteria e, tatatatà!, inizia a scandire Sunday bloody sunday. Poi The Edge. Poi Adam Clayton. Poi Bono, giubbotto e pantaloni neri.

Gli U2 si giocano il tutto per tutto per evitare di finire tra le revival band, quelle che vivono grazie al repertorio perché non infiocchettano più canzoni nuove. Avrebbero dovuto fare questo tour con i brani di Songs of experience, disco rimandato più volte che forse uscirà entro fine anno, e invece lo hanno trasformato nella celebrazione del trentennale di un album decisivo, qualcosa come 28 milioni di copie vendute e altrettanti complimenti della critica. Un'iniziativa un po' vintage, quasi spiazzante per una band che ha sempre giocato a carte scoperte sul banco del futuro. Però sono gli U2, signori, praticamente l'ultimo terminale attivo del rock targato anni '80. E infatti. «Grazie di aver ascoltato il nostro nuovo disco», ridacchia Bono dopo aver suonato per intero (e per la prima volta nella loro storia) tutte le canzoni di The Joshua Tree, da I still haven't found what I'm looking for a Trip through your wires (eseguita l'ultima volta nel 1987), da Bullet the blue sky a Red hill mining town (prima volta dal vivo) fino a Exit.

Gli arrangiamenti sono asciutti, il basso pulsa più del solito, The Edge è più affilato e Bono non si discute perché la voce è meno vibrante di allora ma molto fresca. Però la band non emoziona, forse perché non enfatizza i momenti dello show o perché ciascuno gioca il proprio ruolo senza comunicare o, semplicemente, perché è il debutto mondiale e un po' di tensione ci sta anche se sei una megastar. «Abbiamo sempre un po' di nausea prima di iniziare un nuovo tour» aveva detto qualche giorno fa provando le canzoni a porte chiuse e, forse per esorcizzarla, alla fine del tributo a Joshua Tree si è infilato proprio un cappellaccio quasi identico a quello che aveva 30 anni fa sulla copertina.

Ma è poi in abito nero e occhiali che Bono srotola i bis: Beautiful day, Elevation, Ultraviolet sul mini palco mentre scorrono sul videowall i volti delle figure femminili che hanno lottato per i diritti delle donne (d'accordo per Rosa Parks, Alice Walker e Patti Smith, ma cosa c0entrano Angela Merkel e Christine Lagarde?) giusto prima che Bono faccia improvvisare un coro al pubblico sulla frase The power to the people is so much stronger than the people in power.

E infine, sul palco grande, One, Miss Sarajevo e l'inedita ma non memorabile The little things that give you away con The Edge al piano che finisce mentre si accendono le luci, il pubblico se ne va e agli U2 rimane da risceneggiare un concerto molto entusiasmante per chi c'era allora e un po' meno per chi è arrivato trent'anni dopo.

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