Cultura e Spettacoli

Vertigine in altezza? No, una noia mortale

Sarebbe stato meglio prendere l'opera omnia di Emily, sedersi e leggere, accanto ad un pianoforte, e commentare, semplicemente

Vertigine in altezza? No, una noia mortale

Se non ci fossero state le luci, il computer e i bellissimi costumi di scena, oltre che a quella chicca di teatro (il Nicolini di Firenze), la rappresentazione di cui potete leggere qui le intenzioni, sarebbe stata del tutto inutile. Una perdita di tempo e di denaro.

Erano anni che non vedevo qualcosa di così banale, scontato e lontano dalla reale identità antropologica, storica e culturale di colei che solo con la volontà (non certo con la sua stessa realizzazione) si voleva rappresentare.

Certo, ci si chiede, usciti da teatro, se siamo andati ad assistere a qualche cosa che volesse celebrare i versi di una donna senza tempo (e non perché solamente prefigurasse il futuro nella sua lettera al mondo, ma perché lei stessa era fuori dal tempo) oppure avesse intenzione di allontanare qualsiasi lettore potenziale dalla sua poesia. In effetti, dove fosse, in questo spettacolo, nei testi e nella performance della attrice (seppur brava, anche se monocorde, Daniela Poggi) la grande, immensa personalità, della poetessa quacchera del secondo Ottocento americano, Emily Dickinson è davvero quasi impossibile (da) capire.

Ma, andiamo con ordine.

Dicevo, all'inizio di questa recensione, che l'impianto scenico essenziale, ossia la luce, la musica (contemporanea sintetizzata e computeristica), qualche tratto di regia (ma solo qualche tratto, non uno stato) sono gli elementi che salvano lo spettacolo, e permettono all'attrice di dare quel senso della vitalità interiore che caratterizza l'intera esistenza della poetessa americana.

Il testo, di Valeria Moretti, sembra partorito da un collettivo di sinistra intellettualoide, dedito ad applicare la propria visione femminista del mondo (sempre più, oggi, fuori dalla storia oltre a rappresentare il fallimento delle istanze antropologiche femminili) ad una poetessa che ha reso i propri versi al di là di ogni storicità. Io stesso, che recito costantemente le poesie di Emily Dickinson ai miei studenti universitari (ovviamente a memoria, e dall'inizio alla fine… non solo qualche verso, allo scopo di fornire effetti teatrali poi deludenti), e che queste poesie studio da oltre quindici anni, sono consapevole di questo ruolo di mediatore. Tratto la poetessa con rispetto, devozione e timore. Tutti elementi che la consacrano nella sua separazione dal mondo, ancorché dentro questo mondo. In tutto il testo teatrale, il rapporto che la poetessa stabilisce, trattiene ed intrattiene con Dio, è completamente eluso, se non facendo riferimento al concetto di Natura, in perfetta sintonia con l'ideologia green alla gretina, che stiamo vivendo oggi. Una visione che non ha nulla a che fare con i versi, l'angoscia e la relazione tormentata che caratterizza la poetica della grande donna che si vorrebbe celebrare.

Per fortuna, (quando) verso il termine della performance, quando forse gli autori e l'attrice decidono di svegliarsi dalla loro astoricità e laicismo senza capo né coda, e cercano di svegliare il pubblico che se la stava dormendo serenamente, si assiste ad un guizzo di poesia, di emozione e commozione.

Sarebbe stato meglio prendere l'opera omnia di Emily, sedersi e leggere, accanto ad un pianoforte, e commentare, semplicemente.

Senza pretese, ma con rispetto e studio. Ecco, forse, molte persone ancora, dovrebbero andare a scuola.

Ma, lo sappiamo, è sempre di più un optional, oggi, la preparazione professionale.

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