"Vi racconto mio padre pittore contro la pop art"

L'attore a Roma per presentare il documentario sul genitore artista tormentato e omosessuale

"Vi racconto mio padre pittore contro la pop art"

Nel nome del padre, il figlio esce dal cono di luce e sotto i riflettori spinge lui, Robert De Niro senior (1922-1993)tormentato pittore figurativo omosessuale, «che era diverso e lo sapeva». Come racconta - tra le lacrime - il grande attore di Taxi Driver e Toro scatenato , due Oscar e 100 film in 5 decadi, nel documentario HBO Remembering the Artist Robert De Niro, Sr. , di Perri Peltz e Geta Gandbhir (su Sky Arte il 28 dicembre). In jeans e giacca marroncina, da pensionato tranquillo, Robert De Niro, 71 anni e 5 figli, ieri è venuto a Roma, invitato dalla Fondazione Cinema per Roma, per l'anteprima europea del suo omaggio alla figura paterna, «sentito come un obbligo, per far vedere ai miei figli e ai miei nipoti chi era il loro nonno e bisnonno». Al Maxxi, usato per corsi di uncinetto e yoga, c'è stato un brivido, quando sullo schermo s'è visto il piccolo Bob sul seggiolone, il padre alto e spettinato, a guardar fuori dalla finestra. Pensava a Greta Garbo, ritratta starring Anna Christie? «In certi momenti, non sapeva come comportarsi da padre», riflette De Niro, un anno quando mamma Virginia Admiral, pittrice lei pure, lascia il padre, che ebbe storie col poeta Robert Duncan, lo scrittore Tennessee Williams e il collega Jackson Pollock. Eppure, De Niro senior, dandy dalle dita inanellate, ce la metteva tutta: nella Grande Mela, tra i '40 e i '50, espose con Peggy Guggenheim, valendo quanto Rothko e De Koonig. Poi, la pop art irruppe con Warhol. E papà De Niro, amante degli impressionisti come Bonnard, fu considerato troppo francese e troppo poco americano. Nel '56 scappò a Parigi, dove si ammalò e il 17enne Bob andò a riprenderselo. Nel documentario, miscela di filmini di famiglia, interviste a personalità dell'arte e brani dei diari di Robert senior, c'è soprattutto De Niro, che si apre. Un uomo riservato che, per la prima volta, abbassa la guardia, ricordando il padre con rimpianto. Come accade a chi invecchia, capendo meglio i propri genitori.

Da che cosa nasce quest'omaggio a suo padre?

«Era necessario fare questo film, lo sentivo come un obbligo: trovo fantastico che venga proiettato. Dovevo continuare l'eredità di mio padre, valido esponente della New York School. Per questo tengo aperto il suo studio newyorchese a Soho, con i pennelli ancora al loro posto. Io, invece, non ho mai preso un pennello in vita mia. Come collezionista sono fazioso: ho solo quadri di mio padre. E nei miei ristoranti, a Tribeca, ho fatto appendere le sue tele ovunque».

Come mai suo padre non ha avuto fortuna, come pittore, pur essendo tra gli artisti di punta della New York postbellica?

«La questione del successo consta di molti elementi: non basta il talento. Si può anche essere grandi, ma ciò non porta al riconoscimento. Che a mio padre è mancato, soprattutto da parte dei suoi pari. Perché, a livello internazionale, ha avuto successo. Non quello che meritava. Ma bisogna considerare che, nei '60, esplose la pop art, che detestava… Nel 1942 era andato a studiare a Provincetown, da Hans Hoffman, che aveva 4-5 allievi. In quella cerchia di persone affini c'era anche mia madre. Che poi smise di dipingere, per aiutare mio padre. Crescendo me da sola. “Per aiutarti, devo essere concreta”,diceva».

Che tipo di padre era?

«Distante: non lo vedevo spesso. Magari lo incontravo, mentre andava in bicicletta. A volte siamo andati al cinema: La bella e la bestia di Cocteau, il primo King Kong , Charlie Chaplin. Voleva che andassi alle sue mostre, ma a me non andava. Così come ai miei figli non va di vedere i miei film. Però era affettuoso. Come lo sono io con i miei figli».

Come ha vissuto l'omosessualità di suo padre?

«Da bambino, non ne sapevo nulla: mamma non me ne parlava. L'ho saputo da adulto. So che mio padre la viveva in modo conflittuale».

Come figlio, si rimprovera qualcosa?

«Di non averlo capito. Diventando anziano, mi sono avvicinato alla sua arte. Leggendo i suoi diari, ho compreso quanto fosse dura, per lui.

Quando s'è ammalato di cancro alla prostata, morendo nel suo 71esimo compleanno, avrei dovuto insistere: l'ho costretto a curarsi, ma fino a un certo punto. Magari, oggi sarebbe ancora qui con noi. E potrei chiedergli: papà, ti piace il documentario?».

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