La vita di Klaus Mann: tragica e senza svolte

Letterariamente dotato ma schiacciato dalla figura del padre, lottò strenuamente contro il nazismo. Ma non riuscì mai a essere felice

La vita di Klaus Mann: tragica e senza svolte

Nel 1942 Klaus Mann (1906-1949), il figlio letterariamente più dotato di Thomas Mann, pubblica, in inglese, la sua seconda e più importante autobiografia, The turning point, che esce in tedesco solo nel 1952 e che ora torna in italiano come La svolta (pagg.464, euro 26), nella traduzione del 1962 di Barbara Allason, per Il Saggiatore, che meritoriamente ripropone le principali opere di Klaus Mann, verso cui c'è un risveglio d'interesse dopo la scoperta dei diari (pubblicati in sei volumi dal 1991) con rivelazioni sui protagonisti della vita letteraria tra le due guerre a cominciare da quel padre, fin troppo famoso.

Il talento del giovane affiora già nella prima giovinezza: nel 1925 il suo primo dramma viene messo in scena da lui, dalla sorella Erika, da Pamela Wedekind, altra figlia di illustre padre, e da Gustaf Gründgens, il celebre attore e modello del più noto romanzo di Klaus, Mephisto. Gründgens, brevemente sposato con Erika, fu anche l'amante di Klaus. Nello stesso anno sulla rivista Simplicissimus appare una vignetta, che raffigura Klaus e Thomas: «Ma, papà, lo sai che i geni non hanno mai figli geniali, insomma tu non sei un genio». In realtà il sarcastico commento centra il problema cruciale di Klaus che sa che il suo successo è determinato dalla fama del padre.

Klaus si difende come può: scrive con un'attività febbrile, che Thomas liquida come affrettata e superficiale, benché riconosca che il figlio sia uno dei più talentuosi scrittori della nuova generazione: «forse il più dotato». È un giudizio severo, ma che coglie nel segno con due grandi eccezioni di opere riuscite: La Svolta e Mephisto (da cui nel 1980 il film di Istvan Szabo con Klaus Maria Brandauer), che in realtà è (anche se Klaus lo smentì) il racconto della sua delusione umana, erotica e intellettuale nei confronti di Gründgens, l'attore, il carrierista (così il sottotitolo), che per opportunismo passò con i nazisti, divenendo il protetto di Göring. L'ostilità al nazismo costituisce la rinascita di Klaus: dal dandismo, dal piacere di scandalizzare con le sue reiterate ammissioni pubbliche di omosessualità e di uso delle droghe approda all'impegno militante antinazista. Questa è appunto la svolta, tematizzata dall'autobiografia, che lo sorresse negli ultimi anni senza costituire però il nuovo fondamento del suo destino, minato, secondo Marcel Reich-Ranicki, dal triplice dramma dell'omosessualità, della droga e dell'essere figlio di un Premio Nobel irraggiungibile.

Klaus proprio nella Svolta si confronta con questa problematica: ha chiaro che la protezione paterna rappresenta «la più amara problematica della mia vita». La tesi dell'autobiografia rivela una saggezza di vita che lo avrebbe potuto sostenere: afferma che nell'esistenza di ognuno di noi vi è un momento in cui possiamo disporre liberamente del nostro destino, perfino raddrizzare ciò che nell'esistenza precedente era storto. Per lui questo salto mortale era appunto rappresentato dall'approdo nella letteratura militante sulla scia di Heinrich Mann, lo zio, l'altro grande scrittore della famiglia. Certo che i Mann costituivano veramente l'affermata ditta della letteratura tedesca ufficiale.

Con quest'opera e con i due precedenti romanzi, Mephisto (1936) e Il Vulcano (1939), Klaus Mann si conferma come uno dei principali autori della Exilliteratur, della letteratura tedesca dell'emigrazione. Lascia la Germania già nel marzo del 1933, determinando con la sua rottura con il nazismo, anche l'allontanamento di Thomas da Monaco. In esilio fonda la rivista, Die Sammlung («La raccolta») per combattere sul piano culturale la propaganda del Terzo Reich di Goebbels, che riesce a sabotare l'impresa minacciando i principali scrittori, da Thomas Mann a Stefan Zweig, di proibire i loro libri se avessero collaborato. Un'altra battaglia è quella che lo vede coinvolto in una polemica a distanza con Gottfried Benn, da Klaus considerato il principale poeta di lingua tedesca, che però aveva aderito al Terzo Reich. La risposta del poeta all'invito alla dissociazione è una dura critica agli emigranti di lusso, come i Mann, che avevano solo cambiato villa e non stile di vita.

Solo dopo la guerra Benn ammise che Klaus aveva ragione nei confronti della miseria spirituale del nazismo. Nel frattempo Klaus aveva acquisito la cittadinanza USA. Per altro era uno dei pochi scrittori tedeschi che scriveva anche in inglese. Nel 42 si era arruolato, combattendo in Italia e collaborando all'edizione del giornale per le truppe The stars and stripes. La guerra è il suo periodo eroico, in cui, i demoni che lo devastavano, si erano parzialmente acquetati. Ma con la pace, ovvero con la Guerra Fredda, la Svolta subisce una drammatica inversione. Il ritorno in Germania non è più possibile; come suo padre, anche lui si sente ormai straniero. Il rogo dei libri, in cui nel 1933 vennero bruciate anche le sue opere (lo ricorda con orgoglio), continuava ad ardere: «Un abisso mi separava dai miei vecchi concittadini. In qualsiasi luogo della Germania fossi, mi accompagnava il nostalgico leitmotiv: non c'è più ritorno». Il cerchio si stringeva sempre più opprimente. L'edizione tedesca della Svolta tardava ad apparire, altri progetti naufragavano, le amicizie particolari fallivano.

In una notte disperata a Cannes -era il 21 maggio- pose fine alla sua vita. Il padre, in Svezia con la moglie ed Erika, per un giro di conferenze, non annullò i suoi impegni ufficiali, rinunciò solo agli inviti mondani. Un po' poco.

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