Cultura e Spettacoli

Warhol e i Velvet. Tanti capolavori tra rumore e arte

Opere, film, musica, foto, memorabilia: alla (ri)scoperta del mondo dell'artista e del gruppo che segnò il rock

Warhol e i Velvet. Tanti capolavori tra rumore e arte

Era un mondo sperimentale, creativo, libero, un laboratorio artistico all'avanguardia in tutte le sue forme... Un incrocio di stili e di personalità geniali e al tempo stesso bizzarre con al centro lui, l'indefinibile Andrew Warhola, meglio noto come Andy Warhol, e i Velvet Underground. Era il mondo della Silver Factory (definita «Open House» dai Velvet nel brano Songs for Drella) la palestra d'ardimento di Warhol, un microcosmo caotico in cui - tra il 1963 e il 1967 - si creava arte senza frontiere e tutti cercavano il loro quarto d'ora di celebrità. Un pezzo di storia dell'arte, del costume, della storia, del pop e del rock. Un «movimento», la cui importanza pesa ancora come un macigno sul modo di esprimersi di oggi, raccontato al Centre Pompidou-Metz di Parigi dalla mostra (in collaborazione con l'Andy Warhol Museum) Warhol Underground, visitabile fino al 23 novembre prossimo.

C'è tutto l'universo warholiano - dal «cinema espanso» di Exploding Plastic Inevitable al celeberrimo barattolo di zuppa Campbell's alle Brillo Boxes, e poi la musica e tante foto rarissime (alcune inedite) del maestro e della band da lui plasmata. Si respira l'atmosfera di quegli anni di ricerca spasmodica e senza barriere che non molti all'epoca compresero. I Velvet Underground non hanno mai dimenticato quei loro primi disastrosi concerti in New Jersey del 1963. «Eseguimmo brani come Venus in Furs - ricorda John Cale - e il pubblico era sconvolto. Ci presero per marziani e forse lo eravamo». I loro primi di schi - oggi capolavori oggetto di culto come Velvet Underground & Nico (il famoso «Banana A lbum» con copertina di Warhol) furono dei gloriosi suicidi commerciali.

Del resto non potevano che nascere suoni esplosivi e al di là delle regole fondamentali dell'armonia dall'unione di un ragazzino selvaggio come Lou Reed, aspirante poeta della Syracuse University ed ex autore a cottimo di 45 giri di successo e del violista gallese John Cale, che veniva dall'avanguardia colta e che aveva studiato con Aaron Copland, John Cage e LaMonte Young, eseguendo poi la versione completa di Vexations di Satie in una maratona pianistica di 18 ore... Il suo primo fotogramma celebre lo vede sul palco che maneggia la viola come una clava, accanto a Reed strafatto e come sempre col viso nascosto dagli occhiali. (Poi ci sono naturalmente Sterling Morrison al basso e la scultorea batterista Maureen Tucker in attesa della fascinosa Nico). È così che Warhol, grazie al suo alter ego Gerard Malanga, li scova al Café Bizarre di New York... Fu un colpo di fulmine che Reed descrisse così: «Capimmo subito che eravamo fatti l'uno per l'altro. I testi delle nostre canzoni scritte prima che ci incontrammo, corrispondevano perfettamente al soggetto dei suoi film. In pratica Andy ci diede l'opportunità di diventare i Velvet Underground».

La loro musica elettrica, cupa e caotica era differente da tutto quanto udito prima, così come i loro testi, che prendevano spunto da Sacher-Masoch, Delmore Schwartz (poeta e scrittore che ebbe grande influenza sugli intellettuali americani degli anni '30 e a cui i Velvet dedicarono il brano European Son) o si ispiravano a Edie Sedgewick (cui è dedicata Venus In Furs). Ricordavano, in forma breve, le opere di John Cage e LaMonte Young «con la loro batteria, i tamburelli, l'armonica, le chitarre, l'autoharp, le maracas, il kazoo, i clacson e i pezzi di vetro», ricordava Warhol. Se il «Banana Album» era un disco complesso, forse White Light WHite Heat è acora più ostico, un caos organizzato in cui i musicisti suonino, quasi l'un contro l'altro, armati soltanto del volume degli amplificatori Vox. E questo durante l'estate dell'amore degli hippie, dove ai sogni di pace e amore i Velvet oppongono i 17 minuti di sesso e violenza di Sister Ray, dove il rock si siede al tavolo delle cosiddette arti «maggiori». Nonostante Warhol e il suo genio, il sodalizio tra Reed e Cale durò (troppo) poco. «Abbiamo personalità diverse - ha detto di recente Cale - il nostro feeling si è esaurito presto; a Lou piace fare la star, io vorrei essere invisibile.

Però siamo stati i pionieri del rock come pura arte».

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