Spifferi in procura, il tribunale si assolve

da Milano

La polemica s’arroventa sull’asse Roma-Milano. Il cortocircuito si consuma tra Palazzo Chigi e il tribunale di Milano. Oggetto della contesa, la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche in cui compaiono sei politici. Una «follia italiana», secondo il ministro dell’Interno Giuliano Amato. Una vicenda che merita una «relazione dettagliata», per il Guardasigilli Clemente Mastella. La risposta dei magistrati non si fa attendere. Nel tardo pomeriggio di ieri, la replica congiunta di Giuseppe Grechi e Livia Pomodoro, rispettivamente presidente della Corte d’appello e del tribunale. Le notizie che sono filtrate? «Noi abbiamo fatto più del nostro dovere».
Primo, la difesa. «Abbiamo adottato cautele che prima d’ora in Italia non si erano mai viste, ma le leggi sono leggi e le prerogative costituzionali non impedivano la pubblicazione delle trascrizioni delle intercettazioni». Poi, un velato addebito di responsabilità. «E chi l’ha detto - scrivono i due magistrati in un comunicato - che le nostre contromisure non hanno funzionato? Considerate che il dato fonico era già in possesso dei rappresentanti delle parti, le quali avevano potuto ascoltare le conversazioni intercettate». Tradotto, se «spifferi» ci sono stati, è bene cercare altrove: in procura, o negli studi legali.
Infine, l’affondo rivolto al Palazzo. Quello romano. «In punto di diritto, al giudice spetta applicare la legge così come approvate dal Parlamento». Come dire, la legge Boato (che limita l’utilizzabilità, non la conoscibilità delle trascrizione delle intercettazioni indirette dei parlamentari) l’hanno fatta i politici e non i magistrati. «Pertanto - proseguono Grechi e Pomodoro - legittimamente è stato consentito alle parti processuali di prendere visione delle trascrizioni depositate». Perché «con la richiesta del pm al gip era già caduta ogni limitazione di conoscibilità del contenuto di tali intercettazioni per le parti processuali, tant’è che queste ultime erano già state messe in condizioni dalla procura di ascoltarle». Inoltre, «nessun reclamo, di qualsiasi natura, era stato a suo tempo avanzato» contro «l’ordinanza del gip Forleo, la quale sin dal 30 marzo del 2007 aveva disposto con ampia motivazione la trascrizione delle intercettazioni». Ovvero, gli strali della politica arrivano con oltre due mesi di ritardo, solo quando è chiara all’opinione pubblica - e al Parlamento - la portata di quelle telefonate.
Un ultimo rilievo. Le cautele adottate dal gip per tutelare allo stesso tempo le prerogative parlamentari e i diritti della difesa erano state comunicate «tempestivamente e doverosamente» ai presidenti delle Camere, al ministro Mastella e al vicepresidente del Csm, e «rispettate in modo rigoroso». Il resto è stampa libera. «Non appartiene alla responsabilità degli uffici giudiziari - è la conclusione - la valutazione preventiva circa le modalità di esercizio della libertà di informazione in presenza di limiti alla pubblicabilità di atti giudiziari».
La querelle, dunque, prosegue. Anche perché da Roma, il ministro Mastella promette un approfondimento per «sgomberare il campo dalle ombre su questa vicenda». «Pomodoro e Grechi hanno il mio apprezzamento indiscusso», ma sui giornali «ci sono pagine molto dettagliate. Nessuno mi convincerà, o convincerà 60 milioni di italiani, che quanto letto oggi sia stato riportato da sei avvocati, in presenza di aiutanti della polizia giudiziaria. È un tipico caso di groviera all’italiana». Di qui, la richiesta di una «relazione dettaliata» rivolta ai vertici del Palazzo di giustizia milanese.

«Voglio difendere, come hanno fatto anche i presidenti della Camera e del Senato, le prerogative del Parlamento e prima ancora quelle del cittadino». Dunque, «darò un seguito dove c’è riscontro». Nell’incertezza, anche la procura di Milano si sta preparando all’arrivo degli ispettori del ministero.

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