I tre tenori di Squinzi stendono le tre mummie di Thohir. Come si traduce crisi in indonesiano? Dici Inter e non sbagli. Inter sempre più giù e a testa in giù, nonostante il bicchiere mezzo pieno visto da Mancini («Anche oggi non meritavamo di perdere, il gioco non è stato così negativo, va tutto storto»), la serie A che si ferma ad attenderla (vedi risultati), gli squilli di tromba del secondo tempo quando è andata in campo una squadra più concreta e meglio disposta. Ma tre gol al passivo fanno la seconda sconfitta consecutiva, 10 punti in 10 partite per Mancini, e il sempre più accelerato addio all'idea Champions. Cambiano facce e tecnici, ma la faccia dell'Inter non prende mai un più tranquillizzante aspetto: soliti svarioni, solite divagazioni nel burro dei suoi piedi buoni, solito pescar di polemiche fra giocatori scontenti e tecnico, fra pubblico e giocatori che lanciano la maglia alla gente, ma non sanno difenderla sul campo.
E se i tre tenori della storia sono chiari a tutti, Zaza, Sansone e Berardi che ci hanno messo le tre reti, con grande senso della bellezza calcistica i primi due, con freddezza il terzo che se la vedeva con l'Handanovic pararigori. Ci potrebbero essere dubbi sulle tre mummie. Quei tre davanti mandati in campo dal tecnico con stravagante scelta: Palacio, Podolski e Kovacic, uno più mummia dell'altro, uno più fantasma dell'altro, e con qualche traccia di bollitura nei primi due. Ma qualcuno potrebbe pensare anche ai tre difensori: Vidic, Ranocchia e Donkor si sono fatti pescare come polli o, al massimo, come carri armati di latta nell'opporsi ai tre tenori. La frittata è arrivata, al solito, dalle incertezze difensive: Zaza che sfodera un gran sinistro avendo spazio per il tiro, Sansone che imperversa sulla sinistra e scatena la sua fionda, Berardi che sfrutta il rigore (rigorino, suvvia) provocato da un intervento fesso di Donkor. E l'Inter che rimane impietrita per un tempo: centrocampo morbido materasso, uomini d'attacco con il piumino nei piedi imprecisi.
L'Inter ha giocato in modo credibile solo i primi dieci minuti e parte della ripresa, quando Medel è diventato il terzo centrale in difesa e i centrocampisti sono stati quattro. Shaqiri si è dannato per dire: guardate che io sono meglio di questi. Gli è riuscito qualche guizzo, poi nella ripresa Mancini lo ha invitato all'arte del trequartista e qualcosa di meglio ha cavato, colpendo anche il palo. Poteva essere l'inizio della riscossa, ma è stata illusione fino al gol di rapina (retropassaggio di Magnanelli al portiere) di Icardi, entrato a dimostrare che stavolta le scelte non erano azzeccate. Poi ci si è messo pure Puscas, esordiente pronto al botto tanto da impegnare Consigli ad una delle parate più difficili.
Il Sassuolo ha giocato con ritmo e qualità, il suo marchio distintivo. Squinzi ne ha tratto l'occasione per dire: «Zaza non si tocca». E con ragione, seppur i suoi tre moschettieri di punta siano riusciti a farsi ammonire ed espellere (Sansone per una stupida ammonizione) e non giocheranno contro la Sampdoria. Vie en rose rispetto a quella dell'Inter che continua a cercare difensori (si parla di Santon), centrocampisti (Ledesma?) che regalino leadership e una miglior forma fisica, perchè ieri solo Donkor teneva botta sul piano fisico e della corsa con il Sassuolo. Campanello d'allarme: inquietante veder perfino Medel annaspare dietro ad un avversario.
Poi certo ci sono pasticci che dicono dello stato di tensione: Mancini che non si intende sulla sostituzione e manda fuori Vidic anzichè Donkor, i battibecchi con lo stopper che raccontano dello scarso feeling, la sceneggiata finale di Icardi con i tifosi. Sarebbe meglio pensare ai gol: l'Inter è tornata a segnare dopo 220 minuti di astinenza. Da rifletterci.
Invece il Sassuolo festeggia la prima vittoria sui nerazzurri, dopo aver fatto indigestione di gol subiti (15 in tre partite). Mancini si è preso le colpe: «Se andiamo così, responsabilità mia». Ma in campo si sprecano fantasmi e mummie.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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