Annarita Sidoti, il nostro scricciolo d'oro che marciando sapeva esplorare ogni bosco della vita con la nobile arte del tacco e punta, se ne è andata a 45 anni. Ha combattuto. Aveva un cancro al cervello. Non ha perso perché lascia la sua bellissima storia di atleta, di madre che ai suoi tre figli, Federico, Edoardo, Alberto, ha insegnato a combattere anche quando la malattia, diagnosticata nel 2009, la stava uccidendo come ha detto lei prima nell'anima che nel corpo.
Era nata il 25 luglio 1969 a Gioiosa Marea, la Sicilia dei pirati come Ariadeno Barbarossa, lei era uno dei tesori nascosti che ispirarono scrittori, pittori, scultori. E' stata una marciatrice di talento anche se era alta soltanto un metro e mezzo e quando il vento era feroce sembrava poter volare via. Per la verità spesso era lei a scappare nelle gare importanti. Seguendo la musica di Salvatorino Colletta, il suo allenatore, si nascondeva un po' nel gruppo, nella famiglia dei "puzzapiedi benedetti dalla passione", come diceva Brera, nel gruppo inventato da Sandro Damilano, ma quando sentiva l'armonia che soltanto i marciatori sanno interpretare su strade dove si raccoglie al massimo un applauso, mai premi importanti, eccola uscire dalla mischia delle potenti russe, delle sue stesse compagne di fatica Alfridi e Perrone che erano il doppio di lei.
Sapeva combattere, era capece di sognare ma anche di essere concreta e lo hanno scoperto le sue avversarie che alla partenza quasi non la vedevano, nascosta in mezzo alle altre, ma poi scoprivano che aveva dentro quel fuoco che la portava a scoprire terre lontane come disse una volta la Rigaudo, una delle giovani marciatrici azzurre che da lei ha imparato tanto.
Nessuna impresa le sembrava impossibile, ogni esperienza la faceva diventare un gigante, persino quella battaglia perduta contro la malattia, anche se ha resistito il più possibile perché i suoi bambini, disse in piena guerra chimica, dovevano crescere. Un titolo mondiale ad Atene sui 10 chilometri nel 1997, l'oro europeo di Budapest, sulla stessa distanza, l'anno dopo, il dolore alle Olimpiadi di Sydney nel 2000, sui 20 km che erano l'Everest, prima di chiudere ai mondiali di Edmonton e agli europei di Monaco 2002 con l'ottavo posto sulla distanza che più la faceva soffrire.
Una storia bellissima, dieci titoli italiani, 47 volte azzurra. Il primo trionfo europeo sui 10 km nel '90 a Spalato. Poi un altro a Parigi nel 1994, preludio all'argento europeo di Helsinki sui 10 mila metri. Dovette attendere due anni ancora per avere l'oro mondiale ad Atene nel '97, la stagione della rabbia, perché alle Universiadi siciliane, la sua terra, la sua gente, arrivò "soltanto" terza.
Una motivazione in più per andare alla velocità della luce a Budapest, l'anno dopo, per finire la 10 km da campionessa continentale.
L'ultimo urrah nella grande atletica mentre cercava la luce in altre cose importanti, la bella famiglia, costruita con il marito Pietro, lo spirito giusto per tentare anche con il cinema interpretando il ruolo di una ragazza da marciapiede nel film “Le complici” di Emanuela Pirovano.Non si piange se il destino ci ruba una stella come Annarita Sidoti. Si brinda, si canta, la si ricorda sorridendo, cercando il suo volto fra le nuvole.
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