Roma - Il giorno dopo l'uomo dei quattro doblete consecutivi si è rifugiato al mare. Il suo. Livorno. Gli basta quello per festeggiare alla sua maniera. Massimiliano Allegri l'ha detto nella notte dell'Olimpico: «Voglio solo andare al mare, mi fa tornare la voce e il vento porta via tutte le cose che ho sentito che mi hanno fatto anche un sacco divertire». Tra queste non c'è l'allegrismo, che non esiste a differenza del guardiolismo e del sarrismo. Fa specie che l'allenatore italiano che ha vinto quattro scudetti e quattro coppe Italia di fila (un record) non faccia scuola. Anche perché a ogni stagione corrisponde almeno un'allegrata, spesso più di una: un'intuizione che fa svoltare la squadra (tipo Mandzukic ala o Cuadrado terzino) oppure le tante partite ribaltate con i cambi. Eppure è stato criticato, ma se Max dovesse decidere di cambiare aria, al momento dei saluti qualche scusa all'allenatore andrà fatta (anche da chi scrive). «Allegrismo? No grazie», si schermisce perseguitato dalle litanie sul bel gioco: «Il calcio è un gioco di conoscenza: al Napoli sono sei anni che sono gli stessi, la Juve invece ha cambiato una sessantina di giocatori. Quando sento parlare di schemi, mi viene l'orticaria».
Preferisce raccontare storie come quella del carissimo amico allibratore: «Quando avevo dieci anni gli dissi: Voglio giocare Minnesota. Lui mi rispose: È più facile che tu vada ad allenare in Serie A che vinca questo cavallo. Vinse e io sono diventato allenatore in Serie A...». Ma soprattutto ha vinto il cinquanta per cento degli ultimi dieci scudetti. Allegri è questo, il toscano che ti disarma con le sue battute come quando spiega che ci sono analogie tra cavalli e giocatori perché «i cavalli dopo un po' che vincono si mandano al prato a riposare. E io l'ho fatto con Benatia».
Anche se l'Italia rischia di non avere nemmeno dei ronzini perché i «settori giovanili sono un dramma. Non si insegna più a giocare a calcio. Infatti crescono tutti polli d'allenamento». Ecco spiegato il fallimento mondiale: «Se ai ragazzini si toglie estro e fantasia, a calcio non gioca più nessuno. A tanti non piace, è più facile meccanizzare il tutto. Ma se si vuole qualcuno capace di tirare la palla all'incrocio bisogna farlo tirare in porta». Allegri non vuole salire in cattedra «non ho la presunzione di fare il professore, ma il calcio non ha segreti. Io sono cresciuto con un allenatore che non ha vinto niente a parte i campionati di serie B (Galeone, ndr), ma mi ha insegnato molto». Dall'Allegri aziendalista al tradizionalista, una crociata a difesa della vecchia scuola italiana. Cita pure Cruijff: «La cosa più difficile nel calcio è fare le cose semplici». E ancora: «Dalle esperienze tramandate crescono le nuove generazioni. Il calcio non è solo teoria, libri. A scuola non ci sono andato perché ero duro come il cemento. Ma tanti hanno preso 110 all'università perché hanno studiato a memoria e poi nella vita privata non riescono perché ci vuole praticità». Quella che ti porta a dominare quattro anni di fila.
Eppure non è scontato che Allegri continui a guidare la Juventus. I dubbi restano, anche se lui svicola come con le formazioni. «Se non mi cacciano, resto. È questione di programmare. L'importante è avere gli stimoli giusti». Così invece Beppe Marotta: «Avremo un confronto con lui nei prossimi giorni, dipende anche dal suo sentimento e dalle sue valutazioni. Da parte nostra c'è grande ottimismo. Credo questo rapporto potrà continuare».
Non continuerà Buffon che giovedì svelerà il suo futuro.
Quindi saluta uno degli «animali, perché è disumano vincere così tanto», la sintesi del vicepresidente Nedved che dopo le «punture» di Chiellini, una su tutte a Insigne per la battuta sulle finali perse, e i «fuochi d'artificio» chiesti ai napoletani da Benatia, conferma: «Le polemiche ci hanno caricato». Ovviamente la firma è di Allegri: «Dopo lo scontro diretto perso ero sicuro che avremmo retto alle pressioni». La firma di Max sullo scudetto dell'etologia bianconera tra polli, cavalli e animali.
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