Si torna sempre a quel Cagliari. Anche oggi che un altro Cagliari è 3° in A. Il 21 aprile 1970, Gigi Riva e Bobo Gori spararono le bordate che fecero di Bari-Cagliari la partita scudetto. Gori arrivava da Milano, leggi Inter, con Domenghini e Poli: partì Boninsegna.
Gori, c'è qualcosa che accomuna questi due Cagliari?
«Direi niente, se non le questioni di mercato. Pure allora arrivarono giocatori in cerca di un cambio d'aria, di riscatto: dall'Inter o dalla Fiorentina. Albertosi lasciò Firenze perché il feeling era finito. Domenghini a Milano ebbe problemi con il pubblico. Io ero riserva, andavo male, presi una multa. Oggi c'è gente da Milano, Firenze, Napoli, Roma».
Colpo d'occhio dei dirigenti?
«In questi casi vince la competenza. Il mio Cagliari era un mosaico nato dall'abilità del vicepresidente Arrica: con pochi soldi, tanto che poi intervenne Moratti per pagare gli stipendi. Questo nuovo mosaico ha la società come 12° giocatore: Giulini è solido e conosce il calcio. Allora ci davano calciatori perché non ci temevano. Vinto lo scudetto, cominciarono a pensarci».
Era un Cagliari dal calcio totale, questo c'è vicino
«E cos'è il calcio totale, se non l'occupazione di tutti gli spazi? Un concetto sempre esistito. Di Stefano giocava calcio totale. Noi giocavamo un 4-3-3, senza tanti schemi ma cercando di occupare gli spazi. Contro la Fiorentina, è stata una sfida determinante per mostrare l'evoluzione del gioco e la forza di squadra: segnare un gol, cercare il raddoppio, mai fermarsi. Vedo Nainggolan e penso che non è il primo ad andar via dall'Inter per esprimersi meglio altrove».
Saranno il sapore e il profumo dell'Isola?
«Questo è sempre stato un vantaggio della Sardegna: non facevamo i ritiri perché ci sentivamo già in ritiro. Eppure tanti giocatori non sono più andati via: il bello dell'ambiente, dell'accoglienza e della società».
Lei era un cosiddetto centravanti di manovra, anche il Cagliari non ha un 9 classico.
«La cosa fantastica è che manca Pavoletti, eppure Io mi dovevo spostare a sinistra perché Riva puntava sul centro. Domenghini si spostava sul mezzo destro per lasciar passare Nené all'ala. Conta occupare spazi. Prima di un Inter-Cagliari, Scopigno mi dice: oggi dimostrerai di essere più bravo di Corso, lo marchi e non lo molli. Feci l'ala destra. Se me lo avessero imposto, avrei detto: no. Qui sta la bravura del tecnico».
Voi avevate Scopigno, oggi c'è Maran: simili?
«Scopigno era tutto particolare, fuori dalle righe. Cagliari era la giusta collocazione. Maran è un grande conoscitore di calcio, ottimo organizzatore di gioco e non dice stupidaggini, banalità o, peggio, non serve un traduttore per capirlo».
Cosa augura a questo Cagliari?
«Che rimanga al 3° posto
e, magari, vinca lo scudetto l'anno prossimo. Intanto lo vorrei in Champions, o almeno in Europa: questa squadra, con giocatori nemmeno tanto conosciuti, è proprio figlia della competenza e delle stravaganze del pallone».
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